il Fatto Quotidiano, 13 agosto 2019
Öcalan e il “patto” con Ankara
Dopo 8 anni di brutale isolamento nell’isola-prigione turca di Imrali, dove è confinato da vent’anni anche a causa di vari tradimenti, tra cui quello dell’allora primo ministro Massimo D’Alema che gli negò l’asilo politico in Italia per evitare ritorsioni commerciali, “affidandolo” all’intelligence greca che, a sua volta, lo vendette al Kenya permettendone la cattura da parte dei servizi segreti turchi, Abdullah Öcalan è tornato al centro della scena politica per volere del presidente Erdogan. In difficoltà per la devastante crisi economica turca e per l’elezione dopo vent’anni di un sindaco dell’opposizione, Ekrem Imamoglu, a Istanbul – la più importante città della Turchia, nonchè residenza della maggior parte dei cittadini turchi di etnia curda – il Sultano dal maggio scorso sta facendo finta di voler dialogare con il fondatore nel ‘79 del Partito dei Lavoratori Curdi, (Pkk), inizialmente marxista e simbolo della lotta curda per l’indipendenza da Ankara, ridotta poi a richiesta di una genuina autonomia mettendo da parte l’idea della secessione.
Il primo motivo per cui Erdogan, presidente e allo stesso tempo leader del partito di governo della Giustizia e Sviluppo, Akp, ha permesso agli avvocati di Öcalan di tornare a fargli visita due volte, l’ultima la scorsa settimana, dopo 8 anni dall’ultimo incontro è stato il tentativo di spingerlo a scrivere una lettera al partito Democratico dei Popoli filo-curdo fondato da Salhattin Demirtas – in carcerazione preventiva da quasi quattro anni, nonostante sia deputato del parlamento, con l’accusa di essere il braccio politico del Pkk – per convincerlo a chiedere ai curdi suoi elettori di rimanere neutrali nella scelta del candidato sindaco e per tentare al contempo di rompere il fronte curdo. Richiesta che il leader curdo ha inoltrato. Ma l’Hdp ha proseguito sulla propria strada, pur riconoscendo il valore simbolico di Apo, e grazie anche al proprio sostegno ha contribuito a far rieleggere a primo cittadino di Istanbul Imamoglu candidato del maggior partito di opposizione, il laico e repubblicano Chp. Il secondo motivo di questa ambigua apertura di Erdogan a colui che considera il peggior terrorista della storia contemporanea turca – il Pkk è nella lista nera delle organizzazione terroristiche non solo della Turchia ma anche dell’Europa e degli Stati Uniti – è da individuarsi nella speranza di costringerlo a fare da intermediario nella questione siriana. Il Pkk di Öcalan e dei suoi generali fuoriusciti dalla Turchia nel 2013, quando ci fu la tregua collassata poi nel 2015, sulle montagne di Qandil nel confinante Iraq, è considerato dalla Turchia l’organizzazione madre delle Unità per la Protezione del Popolo (Ypg), ovvero i guerriglieri curdi di nazionalità siriana che hanno stabilito un proto-stato curdo nel nord est della Siria, il cosiddetto Rojava, al confine con la Turchia. L’enclave semi autonoma del Rojava però è considerata da Erdogan una minaccia per l’integrità territoriale della Turchia visto che potrebbe invogliare i fratelli curdi di etnia turca a fare lo stesso. Il problema è che i curdi siriani sono alleati di Washington – che tuttavia è anche alleato storico della Turchia con cui condivide l’appartenenza alla Nato – nella lotta contro l’Isis. Tanto che ancora oggi lo Ypg collabora con i circa 2mila soldati americani di stanza nella regione. Pochi giorni fa la Turchia, dopo aver minacciato di mandare il proprio esercito nel Rojava a est del fiume Eufrate dove sorge l’ormai nota cittadina di Kobane (simbolo della resistenza contro l’Isis) è riuscita a convincere l’amministrazione Trump a stabilire una zona di sicurezza nel Rojava per allontanare il più possibile i guerriglieri dello Ypg dal proprio confine.
Ma i tempi di realizzazione non sono chiari e neanche la profondità e la lunghezza di questa zona cuscinetto. Pur essendo sottoposto a forti pressioni da parte di Ankara, Öcalan molto difficilmente aiuterà il Sultano a cacciare i curdi-siriani dal Rojava, peraltro l’unica zona della Siria dove ci sono giacimenti del miglior petrolio, in termini di qualità, di tutta la regione. La Turchia è priva di petrolio e gas e una safe-zone potrebbe consentirle anche di ottenerne una quota. Inoltre, se Apo convincesse i fratelli dello Ypg a lasciare la zona, la Turchia forse potrebbe ottenere di far parte da coprotagonista, con Russia e Iran, del tavolo delle trattative per arrivare alla fine della guerra in Siria.
Ma, nonostante anche il comandante sul campo dei guerriglieri del Pkk, Cemil Bayik, uno degli uomini più ricercati dall’esercito turco, si sia recentemente pronunciato a favore della riapertura dei negoziati di pace dopo la sanguinosa guerra con la Turchia ricominciata nel 2015, la maggior parte dei curdi sospetta che quella di Erdogan e del suo alleato di coalizione elettorale, il Movimento Nazionalista dei Lupi grigi, oppositore da sempre di qualsiasi richiesta di automia curda, sia l’ennesima trappola ordita per “normalizzarli”, anzichè consentirgli una vera autonomia. La partita rimane aperta, ma l’esito è ancora assai incerto.