Libero, 13 agosto 2019
Le doti delle antiche romane
Chi l’ha detto che le donne romane hanno sempre vissuto in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini? C’è stato un tempo, infatti, in cui si sono rivelate molto influenti, specialmente in politica, e dissolute. Stiamo parlando dell’età tardo repubblicana: quella in cui Catone disprezzava la dissolutezza dei costumi e il libertinismo dilagante del gentil sesso. Se fosse ancora vivo, si potrebbe chiedere un parere a Lucullo, divenuto proconsole della Cilicia grazie alle “doti” di una signorina di nome Precia. Di lei non sappiamo molto, se non che era bellissima e che fu definita dallo storico Plutarco una tipa piuttosto scaltra e di facili costumi. Faceva scuola in tutta l’Urbe, suscitando una bile terribile a chi, come Cicerone, stavano a cuore le antiche tradizioni repubblicane. Marco Tullio Cicerone era uno di quelli che credeva ancora nel mos maiorum, ovvero quel codice di leggi morali che regolavano la vita della famiglia tradizionale. Perciò non poteva andargli certo a genio la bella Precia o la ricca Clodia Pulcra, ricca matrona, nonché sorella di quel Publio Clodio Pulcro che finirà per mettersi contro lo stesso oratore. Costui sapeva, come si direbbe oggi, far andar la lingua, a tratti biforcuta. CICERONE Al contrario di Cicerone, Clodio sedeva tra gli scranni dei populares, una specie di partito socialdemocratico al cui interno militavano non pochi radical chic approfittatori e furbastri. In seguito, nel 58 a.C. divenne tribuno della plebe. Come un grillino ante litteram, Pulcro nutriva un malcelato disprezzo per la casta senatoriale, della quale era intenzionato a ridurre i privilegi ed il potere, in favore delle assemblee popolari. Cicerone, che era un conservatore e stava dalla parte opposta della barricata, non ci stava a mettere le élite contro il popolo. Fu sostenitore di una più equilibrata concordia ordinum tra le parti sociali e politiche. I due si guardavano in cagnesco, specialmente dopo il processo al senatore Catilina, accusato di concussione. In tutto questo, potrebbe obiettare il nostro lettore, cosa c’entra Clodia? A prima vista nulla, se non che oltre ad essere imparentata con quell’impostore di Clodio, ella si era pure creata una cattiva fama: quella di sgualdrina e ragazza poco di buono. Almeno così la pensava Cicerone e, probabilmente, anche Ottaviano, dal momento che l’aveva rispedita dalla madre avendo cura di lasciarla vergine e “casta”. Se diamo retta alle cronache dell’epoca, il povero (si fa per dire) Quinto Cecilio Metello, suo marito, si era preso parecchie incornate. La splendida, elegante e coltissima Clodia sapeva come stregare gli uomini. E certamente chi avrà letto Catullo si sarà accorto che dietro lo pseudonimo di Lesbia si cela proprio questa femme fatale. COME ARTEMISIA Spregiudicata e sfrontata, non esitò a portare in tribunale un uomo accusato di molestie nei confronti delle nobildonne romane. Anticipò di circa millesettecento anni Artemisia Gentileschi, a cui si deve la denuncia contro lo stupratore Agostino Tassi, e di oltre due millenni il movimento delle Mee Too in America. Mentre ad Artemisia non piaceva l’idea di essere palpeggiata, Clodia non si tirava certo indietro. Il malcapitato (è il caso di dirlo!) in questione fu il politico Marco Celio Rufo. Non certo uno stinco di santo, dal momento che su di lui pendevano già parecchie accuse, tra cui quella di omicidio. A ciò si aggiunse però la testimonianza di Clodia, naturalmente offesa per quello che lei reputava uno dei peggiori oltraggi della sua vita: averla piantata in asso. Soltanto lei poteva arrogarsi un tale diritto. Ebbene, la nobildonna cominciò a sostenere che il magistrato, dopo averle estorto del denaro, avrebbe persino tentato di avvelenarla! Fu in occasione di questo processo a Celio che tuttavia si scoprirono molti altarini dell’abile seduttrice. La sorella di Clodio non aveva messo in conto che a sostenere Celio c’era proprio il suo maestro e amico Cicerone. Clodia venne letteralmente sputtanata di fronte a tutta la corte e il suo popolo. Per lei quel giorno si celebrarono i peggiori ludi megalenses di sempre e ricevette una lezione che non scordò a lungo. Ingannando i suoi amanti, non aveva fatto i conti con chi era più furbo e scaltro di lei e finì per pagare la propria disinvoltura con la gogna pubblica. Quello che nel corso della storia politica contemporanea è accaduto ai vari Fini, Alfano e compagnia. Insomma a tutti coloro che hanno voltato le spalle ai loro benefattori.