la Repubblica, 13 agosto 2019
Ocean Viking, la nave dei 100 ragazzini che migrano senza famiglia
Stanno tutti in silenzio, testa china o sguardo perso sull’orizzonte, su quel mare che li ha risparmiati anche se non hanno idea di quando e dove toccheranno terra. Gli unici a fare un po’ di chiasso sono Louis e Adel, sgambettano sul ponte o stanno seduti a contendersi quei giocattoli “inventati” che da quattro giorni li tengono occupati. Hanno 3 e 4 anni, insieme agli altri due piccoli a bordo sono le mascotte della nave dove adesso, dopo ben quattro soccorsi in 72 ore, sono diventati 356. Strano gruppo quello dei migranti della Ocean Viking, la nave di Sos Mediterranée e Msf, alla sua prima missione. Solo quattro donne, le mamme dei bimbi, gli altri 348 sono tutti uomini, un terzo dei quali minori che viaggiano da soli. La nave dei cento ragazzini, perché una grossa percentuale di loro hanno tra i 13 e i 15 anni. E non succedeva da molti mesi di vedere partire, tutti insieme, tanti minorenni da soli. Basta guardare un numero: dall’inizio dell’anno ad oggi sono 555 i minori non accompagnati sbarcati in Italia (contro i circa 3.000 allo stesso periodo del 2018), solo sulla Ocean Viking ce ne sono già 103.
Gli ultimi 29 li hanno “ripescati” ieri pomeriggio, caduti in mare da un gommone su cui viaggiavano in 105 il cui tubolare si è sgonfiato facendo cadere in acqua decine di persone. L’equipaggio della nave aveva già finito di dotare tutti dei giubbotti salvagente e si sono tutti salvati.
Anche su questo gommone, il quarto soccorso dalla nave in zona Sar libica, erano tutti uomini, così come sul secondo e sul terzo. Tutti dell’Africa subsahariana, in prevalenza Sudan, Guinea, Mali. Come se i trafficanti libici avessero aperto i cancelli di un lager dove erano detenuti ragazzi e ragazzini.
«Non siamo in grado di dirlo, quel che è certo è che portano addosso i segni delle torture – dice Luca Pigozzi, coordinatore medico di Msf sulla nave – Non parlano volentieri, rispondono a stento alle domande che sono stato costretto a fare loro. Certamente hanno passato molto tempo in prigionia, ammanettati, mani e piedi. I segni che ho visto intorno ai loro polsi e alle loro caviglie non lasciano dubbi».
Qualcuno ha ustioni gravi da plastica lasciata fondere sul torace, segni di frusta e cicatrici di ogni genere sulle spalle e sulle gambe. «Molti di questi ragazzini avevano difficoltà a stare in piedi e a camminare e a mantenersi in equilibrio». Come capita a chi è costretto per mesi a stare seduto spalle a spalle, ammucchiato con centinaia di altre persone in stanze così piccole che non c’è spazio per muoversi. «Non bevevano da due o tre giorni, non mangiavano da altrettanto, erano debolissimi – racconta il medico – ma poi i primi che abbiamo preso a bordo si sono ripresi e hanno cominciato ad aiutare gli altri arrivati nelle stesse condizioni con i gommoni soccorsi successivamente».
Quello che impressiona in una nave con così tanta gente è il silenzio. «I bambini stanno giocando sul ponte, ma c’è un silenzio irreale attorno a me. Segno che queste cicatrici non sono solo sui loro corpi ma anche nelle loro anime. Non chiedono nulla e nulla sapremmo dire loro su quanto dovranno aspettare per scendere a terra. Certo anche per noi doverci prendere cura di tanti minorenni tutti insieme è molto impegnativo».
Più si riempiono le navi Ong nel Mediterraneo, più difficile sarà trovare una soluzione per lo sbarco. Tra quelli della Ocean Viking e quelli della Open Arms ( arrivata al tredicesimo giorno in mare) sono ormai più di 500. Tanti per trovare rapidamente quella soluzione condivisa che la commissione Ue ha solo auspicato ma non sta coordinando semplicemente perché fino ad ora non glielo ha chiesto nessuno. Ieri i migramti della Open Arms hanno lanciato un appello all’Europa affidato a cartelli. Ma Salvini naturalmente insiste: «I porti sono chiusi. Vadano in Spagna, Francia o Norvegia».