Corriere della Sera, 13 agosto 2019
Biografia di Mozart. Mozart in Italia
Ai primi di dicembre del 1769, Leopold Mozart, vice maestro di cappella presso la corte dell’arcivescovo di Salisburgo, dopo essersi fornito di autorevoli lettere di raccomandazione, lascia a casa la moglie Marie Anne e la figlia Maria Anna soprannominata Nannerl, e insieme all’altro figlio Wolfgang Amadeus (ne hanno avuti sette: sono sopravvissuti loro due) parte per l’Italia. La famiglia Mozart, al completo, ha già viaggiato in Europa, dove si è diffusa la fama del ragazzino prodigio clavicembalista, violinista e compositore, ma ormai è tempo che, alla soglia dei quattordici anni, Wolfgang completi l’educazione musicale nel luogo in cui approdano quasi tutti i musicisti tedeschi, allarghi la sua cultura, conosca il mondo moderno. Le lettere che l’austero Leopold scrive dall’Italia alla moglie – le ha iniziate a pubblicare Il Saggiatore, con il primo di quattro volumi – raccontano Padre e Figlio, la Musica, l’Italia alla fine del Settecento, e si leggono come un romanzo.
La prima tappa, superate le Alpi, il ghiaccio e il freddo di Wörgl, Innsbruck e Bolzano, è Verona. I Mozart alloggiano all’Albergo delle due Torri. Non sono nemmeno arrivati che il vescovo, Nicolò Giustiniani, li invita a pranzo. Si decide che Wolfgang andrà a suonare l’organo nella chiesa di San Tommaso. È stupefacente come la notizia, affidata a un semplice biglietto inviato al sacrestano, abbia fatto il giro della città. La folla che si è radunata davanti alla chiesa è talmente tanta che non si riesce a uscire dalle carrozze.
Dopo Verona, la meta è Milano; via Mantova. A Mantova, si è svolto un concerto nel quale Wolfgang – come riferisce la locale Gazzetta – ha sbalordito tutti, cantando un’aria intera «sopra nuove da lui mai non vedute parole». A Milano, i Mozart hanno tre stanze nel chiostro degli agostiniani di San Marco, vicino al palazzo Melzi, dove abita il conte Karl Joseph Firmian, ministro plenipotenziario per la Lombardia. Nevica. Leopold, sempre freddoloso, pieno di malanni, compra due scaldapiedi di panno imbottiti di pelliccia. È anche uno molto attento alla borsa (spera nei guadagni dei concerti, mentre per ora il conte Firmian si è limitato a regalare a W. le opere in nove volumi del Metastasio), e preoccupato perché a Salisburgo continuano a salire i prezzi. Se vedi che non ce la fai – scrive a Anne Marie – vendi il cavallo. È l’ultima settimana di carnevale. Wolfgang, che di tanto in tanto aggiunge una postilla per la sorella, mangia e beve, è sempre di buon umore. E, finalmente, diventa di buon umore, ottimo, anche suo padre. A palazzo Melzi, si è tenuto un concerto di fronte a 150 invitati. Il successo è stato grande. Firmian ha regalato a W. una tabacchiera d’oro piena di ducati. E il teatro di Milano gli ha commissionato un’opera: Mitridate, re di Ponto.
Con in tasca i ducati, e questo importante incarico, padre e figlio vanno a Bologna, a conoscere Giovan Battista Martini, massima autorità musicale della penisola; poi a Firenze, dove, accolti dal granduca Pietro Leopoldo I d’Asburgo, W. suona le fughe più difficili «come si trattasse di bere un bicchier d’acqua»; quindi, dopo cinque giorni sotto una pioggia terribile, i due arrivano a Roma. Qui subito vanno a San Pietro. Il Papa, Clemente XIV, sta servendo alla mensa dei poveri, sicché loro lo possono vedere «proprio da vicino»; poi si accostano al tavolo dei cardinali, a cui siede il cardinal Lazzaro Pallavicini che chiede a W. chi è e, avuta la risposta, esclama: «Ah, lei è il celebre fanciullo di cui mi hanno tanto scritto!». Più tardi, viene intonato il Miserere, del quale è vietato portar fuori dalla cappella, pena la scomunica, anche una sola nota. Noi – scrive soddisfatto Leopold alla moglie – ce l’abbiamo già, perché il W. lo ha memorizzato e, appena siamo usciti, lo ha trascritto. Wolfgang aggiunge una postilla per la Nannerl: ho baciato il piede di San Pietro, ma mi hanno dovuto sollevare essendo troppo in alto.
Ora, in programma c’è Napoli. Le strade non sono sicure: da poco un commerciante è stato ammazzato dai briganti. Si parte, tuttavia. Napoli – scrive Leopold – sarebbe bella, se non fosse tanto sporca e il popolo non fosse così senzadio. Per non parlare della superstizione, dei mendicanti, della trascuratezza delle chiese. La cosa divertente è la passeggiata dei nobili sul lungomare verso sera, alla quale, nei giorni festivi, partecipa la regina, Maria Carolina d’Asburgo-Lorena. W. ha tenuto un concerto che è andato benissimo. In barca, siamo stati a Pozzuoli, a Baia, ai Campi Flegrei, alla tomba di Virgilio. È la fine di giugno. Di nuovo a Roma, Wolfgang riceve dal Papa l’Ordine dello Speron d’Oro. A Bologna, padre e figlio, ospitati nella tenuta di campagna dei Pallavicini, gustano lo sconosciuto sapore di quel frutto strano, fresco, con la polpa rossa che viene chiamato anguria; assistono a tutte le funzioni; e, a parte un doloretto al malleolo (di Leopold), stanno benissimo. Wolfgang è stato nominato accademico. Finalmente gli è stato consegnato il libretto del Mitridate.
Sicché, da adesso in poi, tutti i pensieri sono volti all’opera, e a Milano. I Mozart ci arrivano ai primi di ottobre. Sono preoccupati, perché come hanno potuto vedere, il mondo dell’opera, in Italia, è pieno di invidie e di fazioni, ciascuno si porta la sua claque, i cantanti fanno le bizze, il successo è un colpo di fortuna che si verifica di rado. Grazie a Dio, invece, il Mitridate, re di Ponto, che Wolfgang accompagna al clavicembalo col suo nuovo vestito scarlatto foderato in azzurro cielo, è un trionfo. Cosa mai accaduta all’inaugurazione, un’aria della Prima donna è stata richiesta del bis; dopo, a quasi tutte le arie seguivano grandi applausi; e il pubblico gridava: viva il Maestrino! Il teatro è sempre pieno. L’arciduca ha commissionato a W. una serenata dal titolo Ascanio in Alba per le sue nozze, e lui è felice. Così, i Mozart decidono che è tempo di tornare a casa. Leopold vorrebbe passare dalla Carinzia, per non fare «come i cani, che al ritorno fanno la stessa strada dell’andata»; ma ci ripensa; e alla fine ripassano da Innsbruck. È il dicembre del 1771. Arrivano a Salisburgo con un carico di onori per il ragazzino che in Italia hanno soprannominato il «Signor Cavaliere Philarmonico». Chi avrebbe mai detto che, vent’anni più tardi, il Cavaliere Philarmonico, dopo aver scritto, oltre ai concerti e alle sinfonie, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte, Il flauto magico, sarebbe morto in miseria, allontanato da tutti? Sepolto a Vienna in una fossa comune? Questo genio assoluto che Wolfgang Hildesheimer, nella sua biografia, descrive con profonda intuizione, quale un individuo, un essere misteriosamente estraneo a sé stesso?