Corriere della Sera, 13 agosto 2019
Il boilermaker, il drink di Pynchon e Bukowski
Non è che uno scrittore debba per forza essere un beone. Però è vero che quando chi scrive condivide con noi una sua passione di spirito, ci diventa più caro. È vero, Izzo senza rosé, pastis e torbati sarebbe sempre Izzo, così come Hemingway avrebbe raccontato Nick Adams anche senza Daiquiri. Da capire se Poe sarebbe stato lo stesso senza brandy o Kerouac senza Margarita. E si può anche porre la questione al contrario: il Mint julep ci piacerebbe tanto anche senza Faulkner? Di certo, il birrino della buonanotte non avrebbe spessore esistenziale senza Bukowski, né Baudelaire quella faccia senza vino: «Bisogna sempre essere ubriachi. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile fardello del Tempo che vi spezza la schiena e vi piega a terra, dovete ubriacarvi senza tregua. Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù: come vi pare». Dalla caccia alle passioni dei nostri idoli al feticismo, il passo è niente. Per esempio, c’è un simpatico matto australiano che dedica il suo tempo a un sito web in cui elenca tutto ciò che bevono gli stralunati personaggi dello stralunato Thomas Pynchon, altro Nobel perennemente mancato che vive nascosto. E allora, evocato da drunkpynchon.com, beviamoci un Boilermaker. Un trash drink – di cui parla anche Bukowski – che consiste in uno shot di whisky versato in una pinta di birra. Pozione poco raffinata che in Italia ha avuto nei pub il suo momento: si chiamava «Il sommergibile» perché si lasciava cadere l’intero bicchierino di whisky nella pinta. Roba da studenti. Però, una volta ogni tanto...