Corriere della Sera, 13 agosto 2019
Il punto sulle primarie democratiche
Il vecchio Bernie Sanders ha radunato la folla più grossa alla Fiera dell’Iowa: centinaia di persone ai piedi del piccolo palco mentre dichiarava che i cambiamenti climatici sono una minaccia peggiore del terrorismo in America. O forse c’era più gente per Elizabeth Warren, la pugnace senatrice del Massachusetts che abbraccia tutti, si definisce con vanto «una maestra» e gli sta rubando gli elettori più di sinistra.
Dopo due dibattiti televisivi in cui i candidati si sono fatti a pezzi tra loro, l’affollata battaglia per la nomination democratica si è spostata in Iowa, uno Stato al 90% bianco nel cuore rurale della nazione. Qui la regola è comportarsi bene: «Iowa nice». Così Warren ha abbracciato l’altra donna più in vista tra i suoi rivali, la senatrice della California Kamala Harris, facendo sognare i fan su un (improbabile) ticket al femminile. Così la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar – accusata dalle dipendenti di maltrattarle e umiliarle – si fa fotografare mentre abbraccia una bambina che le chiede: «Ma tu da presidente sarai buona?».
Una fiera della vanità, un romanzo senza eroi e con un numero eccessivo di protagonisti, decisi a conquistarsi un posto al sole sfidando umidità ed effluvi di burro, armati di cibi fritti infilzati da stecchini (prova ardua per il vegano Corey Booker). Soprattutto, decisi a sottrarre la scena a Joe Biden, l’ex vice di Obama, che resta in testa in tutti i sondaggi.
L’Iowa è il primo Stato (tra sei mesi) a votare nelle primarie democratiche, che restano avvolte dall’incertezza. Se chiedi qui agli spettatori chi sia il loro candidato preferito, ciascuno ne nomina almeno tre (e collezionano tutti i gadget: il più ambito era il ventaglio con la scritta «I’m a Warren fan»). Certo nominano anche Biden, ma più perché credono sia l’unico che può battere Trump che per entusiasmo. L’incertezza diventa ansia quando lo «zio Joe» comincia a fare gaffe: scambia Theresa May per Margaret Thatcher, dice che durante la sparatoria nella scuola di Parkland era vicepresidente (non è così). I giornali ricordano che ha 76 anni, tre più di Trump, ma in realtà scivoloni come questi li ha fatti sempre. Fa una gaffe anche sugli afroamericani, una fetta dell’elettorato considerata uno dei suoi punti di forza: «I bambini poveri sono brillanti come quelli bianchi» (come a dire che tutta la gente di colore è in miseria). Una volontaria afroamericana gli confessa di aver lavorato per lui nel 2008, ma ora sta con Kamala, di origini indiane-giamaicane. Kamala, che come Joe mira ai voti «moderati» e rigirando sulla griglia le costolette di maiale, giura: «Posso rigirare anche i repubblicani».
Una ventina di candidati in lizza sono tanti, troppi. Nessuno ha la magia di Obama. Il sindaco di New York De Blasio viene ridicolizzato per la sua posa mentre consuma un «corn dog» ma sopratutto perché a un suo raduno c’erano 15 persone. Tutti partecipano anche a un forum sulle armi, tema cruciale dopo le stragi di El Paso e Dayton. Uno dei volti meno noti, Andrew Wang, scoppia in lacrime quando una madre racconta del figlio morto in una sparatoria. Pete Buttigieg, il sindaco millennial, twitta le sue foto da soldato in Afghanistan per dire che si vendono in America gli stessi fucili. Almeno in sette accusano Trump di essere un suprematista bianco. Lui, che quattro anni fa stravinse in questo Stato contro Hillary, twitta da lontano (contro tutti). «Sono matti questi democratici», dice Sherry che vende popcorn. «Tanto vincerà Trump».