ItaliaOggi, 13 agosto 2019
Periscopio
I nomi in ballo si pestano i piedi. Inserire danza nei curriculum. Dino Basili. Uffa NewsNon è vero che sono di destra. Io sostengo alcuni valori che sono ascrivibili alla destra, come l’amor patrio. Ma porto anche avanti alcune battaglie che sono tipicamente di sinistra, come quella contro la caccia. Però della destra non tollero alcune chiusure sui diritti civili. E l’ho detto chiaro e tondo. Prendendomi anche gli insulti di Forza Nuova e di una parte di Fratelli d’Italia. Rita Dalla Chiesa, conduttrice tv (Roberta Scorranese). Corsera.
L’incontro che non posso dimenticare è quello con Lucio Dalla. Me lo trovai davanti nell’ascensore della Rca, mi sarei messo a piangere. Pensai: «Ecco, non sono più solo». Fu come guardarsi in uno specchio, ed era uno specchio pulito. Renato Zero, cantante (Roberto Gobbi). Sette.
Curzio Malaparte era convinto di essere molto importante. Vedeva nemici personali dappertutto, e temeva di correre a Berlino Est chissà quale pericolo. Si chiamava in realtà Kurt Erich Suckert ma non parlava tedesco. Gli facevo un po’ da interprete. Sergio Romano, ex ambasciatore italiano, saggista di politica estera (Aldo Cazzullo). Corsera.
Pur non essendo un credente, quando facevo la tesi ero affascinato dalla religione. Un amico, a cui ero molto legato, mi aveva parlato del Vangelo di Giovanni. Quel testo divenne per me fondamentale permettendomi di entrare in contatto con il mondo dell’antica gnosi. Giovanni Filoramo, studioso delle religioni (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Tornammo dagli Stati Uniti a Meda, in Brianza, nel 1955. Feci la gavetta nell’avanspettacolo e cantando per la casa editrice musicale napoletana Bideri. Guadagnavo 7 mila lire al giorno: 4 a casa, 3 per vivere. Finalmente venni scritturato dalla Rai per Il Musichiere, ma feci solo tre puntate perché Ladislao Sugar mi spedì a Sanremo in coppia con Domenico Modugno. Avevo 20 anni, cantammo Nel blu dipinto di blu e arrivammo primi. Johnny Dorelli, cantante (Pierluigi Vercesi). Corsera.
Aver studiato dai Gesuiti ha dato alla sua formazione il senso del primato della cultura e un metodo di giudizio delle mie azioni. Gli esercizi di Sant’Ignazio sono un viaggio profondissimo attraverso il silenzio dentro te stesso. Impari a giudicarti severamente ma anche con tenerezza. Setacci le esperienze, il bene e il male. La tua responsabilità parte da quel momento in poi. Ho imparato ad avere pazienza. Tutto arriva a chi sa aspettare. E di Sant’Ignazio che dice ai Gesuiti «andate e incendiate il mondo», mi piace l’idea che non bisogna fermarsi mai. Nel rapporto con mia moglie Matilde, questa visione ha reso stima e fiducia sempre più forti. Se stimi, ti affidi, se ti affidi, apri il cuore. E se apri il cuore, il modo di comunicare cambia. Giovanni Minoli, dirigente tv (Candida Morvillo). Corsera.
Quando studiavo alla Bocconi ero divisa. Pensavo che una formazione economica solida era indispensabile. Ma non capivo se quella fosse davvero la mia strada. Ero sicura però: se qualcuno mi avesse imposto di restare a Trento sarei scappata. Camilla Lunelli, responsabile comunicazione di Cantine Ferrari (Luciano Ferraro). Corsera.
Milano è bellissima. Puoi andare in bici, la spazzatura funziona. In due ore vai ovunque. Però Roma è Roma. I milanesi sono rigidi, io (anche se adesso lavoro con grande soddisfazione a Milano), sono caciarona. La prima cosa che ti chiedono è che lavoro fai, per vedere che ruolo sociale hai. Il weekend a Milano è micidiale. A Roma vai al mare. Lorenza Baroncelli, direttrice della Triennale di Milano (Michele Masneri). Il Foglio.
Consolidate le iniziative sulla stampa, Urbano (berlusconeggiando) si comprò il Torino che era in B e stava fallendo. In precedenza, era stato tentato da altre squadre zoppicanti. Arrivata però l’occasione del Torino, si riscoprì piemontese dichiarandosi torinista fin dalla culla. Risanò il club e lo riportò in A. Grati, i fan lo ribattezzarono Urbano I. Poi cominciò a cambiare allenatori come aveva fin lì cambiato mogli, raggiungendo quota 3 (le signore, Tove Hornelius, Anna Cataldi, Mali Pelandini) per un totale di 4 figli. Temendone l’incostanza, i tifosi tremarono. Cairo cominciò a stipulare con i mister ingaggi trimestrali, pensando di tenerli sulla corda e ottenere risultati. I torinisti, sulle furie, sostituirono l’Urbano I col soprannome Spilorcio, tappezzandone la città. Oggi, dopo 14 anni, la squadra ancora non decolla. Giancarlo Perna. LaVerità.
I twitttori, purtroppo, non sono analfabeti. E siccome usano internet, credono agli extraterrestri. Forse addirittura l’istruzione è di per sé un male: aiuta i cretini a diventarlo di più. Il dottissimo cardinale Federico, tanto caro al Manzoni, era convinto che la peste di Milano fosse opera di untori pagati dal demonio: e sappiamo come finì, con la Colonna Infame. Trovò quale solo oppositore Don Ferrante, che dimostrava doversi alla congiunzione di Giove con Saturno. Paolo Isotta, storico della musica. Libero.
Oggi mi fa paura il mistero di quello che mi aspetta, di che cosa morirò. Alla mia età, sempre più vicino ai 100 anni che ai 60, è chiaro che alla morte ci si pensa. Non ho avuto il soffio della fede, credo nella vita qui, lascio aperto a tutte le possibilità e invidio chi crede. Ciò che mi proietta verso l’universo è la musica. Don Giussani diceva che «il musicista non ha bisogno di cose esterne, è proiettato direttamente altrove». Enrico Intra, jazzista milanese (Luca Pavanel). il Giornale.
Padre Alessio, con la barba da capra sotto la faccia di Cristo dissanguato, pare svegliarsi e resuscitare da un gelo di catacomba. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1963.
La sala delle riunioni era al primo piano, fra quella dei pittori fiamminghi e quella dei Nazareni. Aleggiava un’aria di austerità borghese; dal fondo, in quel momento, avrebbe potuto alzarsi un rullo di tamburi; quello era davvero il portamento di quello di chi sale i gradini dell’altare, la scaletta del patibolo, un podio, per ricevere una decorazione o ascoltare la sua condanna a morte. Heinrich Boll, Bigliardo alle nove e mezzo. Mondadori, 1962.
Un onesto artigiano, ritornato dall’Africa, raccontava le sofferenze che aveva passate. «Quanto a cimici come si stava?», gli chiese uno. «Grosse come il pollice!», rispose. «E se non si stava attenti, la notte, c’era il pericolo che ti portassero via con tutta la branda». Mario La Cava, Caratteri. Einaudi, 1980.
Nel Medioevo i nobili non sapevano né leggere né scrivere, ma avevano il potere. Oggi non hanno più nemmeno questo. Roberto Gervaso. Il Messaggero.