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 2019  agosto 13 Martedì calendario

A Hong Kong i contestatori hanno invaso l’aeroporto: 180 voli cancellati

Divampa la protesta a Hong Kong. Ieri una massa di giovani contestatori ha occupato l’aeroporto, rendendo impossibile il transito dei passeggeri: tutti i 180 voli sono stati cancellati. I contestatori si distinguono per una benda macchiata di rosso sangue sull’occhio destro.
Ordine ed efficienza sono le caratteristiche che fanno dell’aeroporto di Hong Kong uno dei principali scali internazionali, il terzo al mondo con i suoi 75 milioni di passeggeri l’anno, 220 destinazioni coperte, 120 compagnie presenti. Lo scalo è uno dei punti di forza dell’ex colonia britannica, la facilità degli spostamenti intercontinentali attira la business community globalizzata. Ora l’aeroporto è diventato un obiettivo strategico nella crisi politica, il nuovo campo di battaglia della rivolta. Ieri una massa di giovani contestatori ha occupato il terminal principale, rendendo impossibile il transito dei passeggeri: nel pomeriggio tutti i 180 voli sono stati cancellati.
Il governo di Pechino ora vede nelle azioni dei dimostranti «germogli di terrorismo» e usa espressioni apocalittiche: «Hong Kong scivolerà in un abisso senza fondo se le atrocità criminali proseguiranno». Il tg della sera ha annunciato: «Allerta! Ci sono segni di terrorismo nelle strade di Hong Kong». Un bluff retorico o davvero la Cina si prepara alla repressione?
Alla magliette nere e mascherine sul volto, la divisa simbolo delle proteste cominciate a giugno, molti ribelli all’aeroporto ieri hanno aggiunto una benda macchiata di rosso sangue sull’occhio destro: per accusare la polizia che domenica notte aveva sparato proiettili di gomma sulla folla in una stazione della metropolitana, ferendo una donna.
Questa ondata anti-governativa e anti-Pechino è cominciata in opposizione alla legge sull’estradizione di residenti di Hong Kong verso la Cina, che era stata preparata dalla Chief executive Carrie Lam. Dopo marce di milioni di persone e i primi scontri, la governatrice a luglio dichiarò «morta» la proposta, ma la situazione ormai si era radicalizzata: una frangia del movimento giovanile non teme e anzi cerca la guerriglia con gli agenti; gli ufficiali ordinano l’uso massiccio di gas lacrimogeni, pallottole di caucciù e manganelli; la parte più moderata della protesta popolare invoca un’inchiesta sulla violenza delle forze dell’ordine.
I giovani manifestanti, a differenza dei loro compagni che nel 2014 avevano occupato stabilmente la City per 79 giorni, ora cambiano di continuo gli obiettivi: il primo luglio hanno addirittura espugnato il parlamento locale. Dopo alcune ore, dopo gli immancabili disordini, i guerriglieri si ritirano «fluidi come l’acqua». Ieri l’onda ha invaso l’aeroporto.
Il governo locale non ha risposte politiche alla crisi, che si è allargata fino ad esigere le dimissioni della governatrice ed elezioni a suffragio universale. Ma anche Pechino non ha soluzioni valide. Ha evocato l’intervento della guarnigione militare di Hong Kong, ha accusato gli Stati Uniti di fomentare i disordini, ha dichiarato che «chi gioca con il fuoco brucia tra le fiamme». Ieri un nuovo salto di qualità verbale: il portavoce del governo cinese ha sostenuto che si «sono visti segnali di terrorismo emergente». Il primo ottobre Xi Jinping celebrerà i 70 anni della Repubblica popolare: quel giorno i carri armati sfileranno a piazza Tienanmen e nessuno osa prevedere che cosa succederà nelle strade di Hong Kong.
Ordine ed efficienza sono le caratteristiche che fanno dell’aeroporto di Hong Kong uno dei principali scali internazionali, il terzo al mondo con i suoi 75 milioni di passeggeri l’anno, 220 destinazioni coperte, 120 compagnie presenti. Lo scalo è uno dei punti di forza dell’ex colonia britannica, la facilità degli spostamenti intercontinentali attira la business community globalizzata. Ora l’aeroporto è diventato un obiettivo strategico nella crisi politica, il nuovo campo di battaglia della rivolta. Ieri una massa di giovani contestatori ha occupato il terminal principale, rendendo impossibile il transito dei passeggeri: nel pomeriggio tutti i 180 voli sono stati cancellati.
Il governo di Pechino ora vede nelle azioni dei dimostranti «germogli di terrorismo» e usa espressioni apocalittiche: «Hong Kong scivolerà in un abisso senza fondo se le atrocità criminali proseguiranno». Il tg della sera ha annunciato: «Allerta! Ci sono segni di terrorismo nelle strade di Hong Kong». Un bluff retorico o davvero la Cina si prepara alla repressione?
Alla magliette nere e mascherine sul volto, la divisa simbolo delle proteste cominciate a giugno, molti ribelli all’aeroporto ieri hanno aggiunto una benda macchiata di rosso sangue sull’occhio destro: per accusare la polizia che domenica notte aveva sparato proiettili di gomma sulla folla in una stazione della metropolitana, ferendo una donna.
Questa ondata anti-governativa e anti-Pechino è cominciata in opposizione alla legge sull’estradizione di residenti di Hong Kong verso la Cina, che era stata preparata dalla Chief executive Carrie Lam. Dopo marce di milioni di persone e i primi scontri, la governatrice a luglio dichiarò «morta» la proposta, ma la situazione ormai si era radicalizzata: una frangia del movimento giovanile non teme e anzi cerca la guerriglia con gli agenti; gli ufficiali ordinano l’uso massiccio di gas lacrimogeni, pallottole di caucciù e manganelli; la parte più moderata della protesta popolare invoca un’inchiesta sulla violenza delle forze dell’ordine.
I giovani manifestanti, a differenza dei loro compagni che nel 2014 avevano occupato stabilmente la City per 79 giorni, ora cambiano di continuo gli obiettivi: il primo luglio hanno addirittura espugnato il parlamento locale. Dopo alcune ore, dopo gli immancabili disordini, i guerriglieri si ritirano «fluidi come l’acqua». Ieri l’onda ha invaso l’aeroporto.
Il governo locale non ha risposte politiche alla crisi, che si è allargata fino ad esigere le dimissioni della governatrice ed elezioni a suffragio universale. Ma anche Pechino non ha soluzioni valide. Ha evocato l’intervento della guarnigione militare di Hong Kong, ha accusato gli Stati Uniti di fomentare i disordini, ha dichiarato che «chi gioca con il fuoco brucia tra le fiamme». Ieri un nuovo salto di qualità verbale: il portavoce del governo cinese ha sostenuto che si «sono visti segnali di terrorismo emergente». Il primo ottobre Xi Jinping celebrerà i 70 anni della Repubblica popolare: quel giorno i carri armati sfileranno a piazza Tienanmen e nessuno osa prevedere che cosa succederà nelle strade di Hong Kong.