La Stampa, 13 agosto 2019
Sui governi elettorali
Un passo alla volta. Il Capo dello Stato continua a restare in silenzio, non lascia trapelare preferenze o “letture” sulla crisi sospesa che grava sul governo Conte, ma dalla sua breve vacanza sull’isola della Maddalena ovviamente si tiene informato su ogni dettaglio che si sta consumando nei palazzi della politica ed anche sui contatti informali che gli sherpa dei partiti si stanno scambiando.
Una quasi-crisi che Mattarella intende condurre con un metodo didascalico. Senza allungare i tempi, senza forzature e in ogni caso senza lo spirito “interventista” che segnò le presidenze di un altro ex democristiano come Oscar Luigi Scalfaro, o come fece Giorgio Napolitano. Col consueto riserbo, Mattarella prende atto del corale rispetto col quale tutte le forze politiche attendono sue decisioni, un atteggiamento che era una costante durante la Prima Repubblica, ma non della Seconda, durante la quale i Capi dello Stato hanno spesso dovuto fronteggiare polemiche anche aspre da parte delle forze politiche.
Il Presidente Mattarella ovviamente segue ogni modifica nei rapporti tra le forze politiche, in modo da trovarsi pronto all’appuntamento che lo attende: l’avvio delle consultazioni dopo che il presidente del Consiglio gli avrà comunicato le sue dimissioni. Se, come pare, la salita al Colle di Giuseppe Conte dovesse essere confermata per il 20 agosto, tutto lascia intendere che il Capo dello Stato avvierà in tempi brevi le sue consultazioni con tutti i gruppi parlamentari.
Tempi brevi perché l’imperativo categorico che ispira il Capo dello Stato è quello di fare di tutto perché l’Italia approvi la propria legge di Bilancio il prima possibile, scongiurando un eventuale esercizio provvisorio.
Nelle consultazioni Mattarella chiederà alle forze politiche la disponibilità eventuale a favorire la nascita di governo politico e in caso negativo l’orientamento sulla opportunità che l’Esecutivo dimissionario resti in carica per gli affari correnti, ovvero se debba essere avvicendato da un governo elettorale di garanzia, chiamato ad uscire di scena subito dopo le elezioni anticipate.
Ma proprio su questo terreno si può immaginare che i precedenti indurranno il Capo dello Stato ad una certa prudenza. In Italia ci sono stati tre governi elettorali: nel 1962, nel 1969 e nel 1983. Diversamente da altri Paesi dove il governo elettorale può giurare e diventare operativo senza bisogno di passare dal Parlamento, al Colle hanno ben chiaro che persino un governo chiamato a gestire le elezioni dovrebbe presentarsi alle Camere entro 10 giorni dalla sua formazione, secondo quanto prescritto dall’articolo 94 della Costituzione, il che rende ipoteticamente possibili delle sorprese. Si ricorda ad esempio il sesto governo Fanfani, un governo “suicida” perché doveva essere sfiduciato, per poter portare ad elezioni e che invece non ottenne per un soffio la fiducia, che fu votata inaspettatamente dal Psi di Bettino Craxi. Lo stesso potrebbe ripetersi con Cinque stelle e renziani? Nulla lo lascia immaginare, anche per il corale fastidio che in campo pentastellato ha accompagnato l’esternazione renziana. Ma al Colle non manca la memoria storica.
Oggi il Capo dello Stato parteciperà a Genova alla cerimonia per commemorare la tragedia del ponte Morandi. Accanto a lui, il premier Conte e i ministri Salvini, Di Maio, Bonisoli e Toninelli.