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 2019  agosto 12 Lunedì calendario

Un giallo sugli italiani d’Istria e Dalmazia

Può la vendetta sostituirsi alla giustizia? Davanti all’atavico interrogativo si trova il commissario Ottavio Ponzetti, sbirro «vecchio del mestiere» nel nuovo romanzo del docente romano di lingue classiche Giovanni Ricciardi, La vendetta di Oreste. Questa volta il commissario non indaga su un crimine, almeno in apparenza, ma su una misteriosa richiesta riemersa dal passato. Dieci anni prima, in punto di morte per una caduta, il geometra Oreste Zoratti, esule istriano a Roma, aveva chiesto di parlare a Ponzetti, con cui intratteneva cordiali rapporti da quando gli aveva ristrutturato casa. Se ne ricorda il figlio di Zoratti, Marco, in pessimi rapporti con il padre, quando, sgomberando la casa dei genitori nel villaggio Giuliano-Dalmata, si imbatte in una pistola priva di due proiettili e in una lettera di una donna indirizzata a uno sconosciuto di nome Ulisse.
Fra gli impegni sul lavoro e una famiglia sempre più complicata, Ponzetti indaga con l’aiuto della secondogenita Maria, alle prese con una sua personalissima indagine sui fatti e dentro di sé, e del fedele Iannotta. I segreti del geometra affondano nella giovinezza istriana e rivelano poco alla volta un’insospettata seconda vita. Nel passato di Oreste ci sono un amore infranto, orrore e violenza, ma pure un sacerdote fiorentino difensore dei reietti, una donna coraggiosa e un preside triestino fautore, tra il 1947 e il 1954, di una annuale tenzone dantesca a baluardo culturale dell’italianità. E mentre i molti tasselli del mistero si ricompongono, la vicenda racconta con stile raffinato anche una sofferta pagina di storia patria, l’esodo di quasi 30 mila italiani da Pola a seguito dell’annessione alla Jugoslavia, le violenze delle milizie di Tito, i massacri delle foibe ed il molto meno noto controesodo di qualche migliaio di operai di Monfalcone, partiti con il sostegno del Pci verso i grandi cantieri navali di Fiume e Pola spopolati dai connazionali in fuga e poi costretti a fronteggiare il volto buio del regime di Tito dopo la sua rottura con Stalin.
Come nei romanzi precedenti, i personaggi di Ricciardi ancor più che agire pensano e la letteratura è chiave per interpretare la realtà quando i suoi contorni si fanno incomprensibili o inaccettabili. Oltre a Dante, tocca alle figure mitologiche dell’Oreste eschileo e di Ulisse, citato più volte anche attraverso le riletture di Foscolo e Saba, poeti tormentati a loro volta dallo sradicamento. Il primo uccide la madre per vendicare la morte del padre Agamennone ed è poi assolto dal tribunale dell’Areopago, istituito per l’occasione, che ad Atene sarà il supremo collegio giudicante. Il secondo, simbolo del bisogno di un approdo, già nel nome in greco porta la perdita d’identità, primo strale, come dice lo stesso Dante, che colpisce gli esuli di tutti i tempi.
Il personaggio di Zoratti è l’uno e l’altro e, pur in un genere come il giallo destinato al vasto pubblico, pure paradigma della persistenza dei classici.