Il Sole 24 Ore, 12 agosto 2019
Il romanzo di Penelope
Wimbledonx
Nelle Donne alle Tesmoforia di Aristofane, le abitanti di Atene riunite per festività religiose tutte al femminile accusano Euripide di divertirsi, sadisticamene, a portare in scena donne scandalose, come Fedra, innamorata del figliastro Ippolito, invece di copie di Penelope, la moglie di Ulisse, esemplare modello di fedeltà coniugale. Cercando di dimostrare la misoginia di Euripide, una di loro codifica una banale dicotomia tra “buona” e “cattiva,” “virtuosa” e “scandalosa,” che, motivata dal desiderio di controllare la sessualità femminile – d’imprigionarla nella camicia di forza di una convenzionale (pseudo)etica – è in sé la più ovvia manovra sessista. Da questo punto di vista, Penelope, la protagonista femminile dell’Odissea, l’alleata del suo protagonista maschile, con cui condivide (e compete in) astuzia e versatilità, si può considerare un’emblematica vittima della misoginia antica. “Virtù” sembra una strategia per limitare, o neutralizzare, queste doti intellettuali, che, anche se, in ultima analisi, messe al servizio del ritorno del marito e, quindi, dell’affermazione di un potere patriarchico, contengono un insopprimibile potenziale sovversivo, dagli imprevedibili confini. La Penelope di Omero sembra, a prima vista, lontana dalla prospettiva di diventare mai Fedra, ma sicuramente ha la capacità di sostituirsi ad Ulisse – la cui versatilità esibisce, per la cultura antica, una dimensione propriamente femminile – e spodestarlo.
È proprio la possibilità di una metamorfosi di Penelope in Fedra e, quindi, di una destabilizzazione della dicotomia aristofanesca che Maria Grazia Ciani – raffinata conoscitrice e traduttrice dei poemi omerici – esplora in La morte di Penelope, la sua densa e insieme minimalista rivisitazione della seconda parte dell’Odissea. La Ciani ci presenta un dramma in prosa monologica, che ricorda gli eleganti racconti mitologici di Marguerite Yourcenar. Una tecnica in voga nel genere delle réécritures contemporanee di testi antichi, il monologo interiore impiegato dalla Ciani – fatto di improvvise e continuate irruzioni vocali, simili a schizzi elegiaci, instantanee liriche, o contenute perlustrazioni psicologiche in presa diretta – sembra soddisfare il nostro desiderio di intrudere nella mente dei personaggi, di possederli senza alcuna intercessione narrativa. Usando un’altra metafora, che è incoraggiata dal gusto per i giochi di parole pervasivo nel romanzo (per esempio il brillante calembour Argo/arco), potremmo dire che il tessere di Penelope – la sua attività identificante – si trasforma nelle tessere del mosaico psicologico costruito pazientemente pagina dopo pagina, monologo dopo monologo.
La più vistosa e sorprendente novità di questa riscrittura è la violazione della fedeltà di Penelope, che vediamo innamorarsi di Antinoo, uno dei famigerati proci, occupanti abusivi della casa di Ulisse, impegnati a sperperare il suo patrimonio in sua assenza. Questa scelta avrebbe sicuramente fatto inorridire il personaggio femmile di Aristofane (ovvia proiezione di un sentimento misogino collettivo), ma i suoi – anche se alcuni stenteranno a crederlo – si possono ritrovare, in latenza, già nel testo omerico. Come vari studi della critica americana femminista e decostruzionista hanno dimostrato, il narratore omerico, astuto modulatore di in- e sovra-determinazione, spesso e volentieri apre spiragli di incertezza, impercettibili fratture nelle aspettative, facendo trapelare – per almeno alcuni dei suoi ascoltatori/lettori – la spiazzante possibilità che Penelope sia sul punto di tradire Ulisse e accettare le avancesdei proci, che Penelope, in altre parole, stia per smettere di essere Penelope, o che, in realtà, non lo sia mai stata.
Nella postfazione, l’autrice evoca silenziosamente Yourcenar quando connette Antinoo, il pretendente odissiaco, con l’ononimo giovane amante dell’imperatore Adriano, reso celebre dal suo romanzo Le memorie di Adriano. Nel rivelare questo dettaglio, la Ciani ci invita davvero a vedere Penelope come una specie di Fedra, o un doppione di Elena, che era sua cugina e lasciò il marito, volontariamente o meno, per seguire Paride, il giovane figlio del re di Troia – criticato nell’Iliade per la sua “mollezza” femminile e, quindi, un alter ego di Antinoo (sia quello Omerico che quello immortalato dalla Yourcenar). La torsione – un vero e proprio queering — della trama epica, che diviene ancora più marcato con la rivelazione del rapporto tra l’epico Antinoo e quello imperiale, altera radicalmente la percezione di Penelope, anche aldilà della somiglianza con Fedra ed Elena.
Nell’Odissea, ogniqualvolta la fedele moglie abbandona le sue stanze e si rende visibile ai pretendenti, rimane appoggiata a una colonna, un’immagine dell’immobilismo che imprigiona la donna greca antica. Ma il romance con Antinoo complica il significato di questa colonna. È come se la colonna si muovesse, entrando in uno spazio finora precluso. Questo immaginario movimento corrisponde alle energie di una sessualità fluida, che mentre sgretola la struttura architettonica come ovvio simbolo fallico – lo strumento dell’imperativo eteronormativo – erige un modello di eroticismo propriamente femminile, Odissiaco o “Penelopeico,” cioè, in perenne e imprevedibile oscillazione.
Penelope non è soltanto la fredda colonna che tiene in sospeso i pretendenti con il tira e molla della tela, ma la magica macchina utopica che seduce (e un po’ spaventa) loro insieme a noi lettori con l’immagine di una sessualità in lotta con gerarchie anatomiche o sociali. Questa sessualità si nutre di sensazioni, vibrazioni, e risonanze che vagano aldilà di vecchie e nuove distinizioni tra soggetto ed oggetto. Sono sensazioni nomadiche, simili al liricismo musicale delle voci monologiche di Penelope e Antinoo. Quando arriva Ulisse, questa fantasia di sessualità anti-gerarchica, che la Ciani ci aiuta a coltivare, si interrompe bruscamente, ma, in un certo senso, non c’è rimedio al danno ormai fatto. L’alternativa aperta da Penelope e Antinoo rende la ricostruzione del palazzo di Itaca inevitabilmente effimera, e l’intervento punitivo di Ulisse, che per così dire fa crollare la colonna, annientando il suo alter ego – più minaccioso che “virtuoso” – si rivela un atto eminentemente auto-distruttivo.
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La morte di Penelope
Maria Grazia Ciani
Marsilio, Venezia, pagg. 90, € 12