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 2019  agosto 12 Lunedì calendario

Un governo di legislatura?

OGGIXROMA – Matteo Renzi ha deciso di sciogliere gli ormeggi e ha detto ai suoi di tenersi pronti perché la scissione sembra ormai una questione di giorni. L’ex premier si prepara a far nascere nuovi gruppi parlamentari, che si chiameranno “Azione civile”, portando via da quelli del Pd i suoi fedelissimi. Poi, se si andrà ad elezioni, nascerà un vero e proprio partito, con una sua lista pronta a lanciarsi nell’agone elettorale. I tempi? Potrebbe accadere tutto nei giorni del dibattito al Senato sul governo Conte. Ieri sera l’ex premier è apparso a quelli che gli hanno parlato più che mai deciso a tagliarsi i ponti dietro le spalle: «La misura è colma, non possiamo più restare in un partito dove tutti i giorni ci attaccano». Ma dice di volere una separazione consensuale, ipotizzando di portarsi via dai gruppi del Pd più o meno la metà dei parlamentari. Che vorrebbe dire circa 25 al Senato e più di 50 alla Camera. Anche se Nicola Zingaretti è convinto che a palazzo Madama alla fine lo seguiranno non più di una ventina. E poi bisogna fare i conti con il nuovo regolamento del Senato che impedisce la nascita di altri gruppi se non corrispondono a partiti che si siano presentati alle elezioni. La crisi di governo dei gialloverdi dunque fa esplodere il Partito democratico, portando alle estreme conseguenze il braccio di ferro infinito di questi mesi. L’ultima drammatica lacerazione di una sinistra che sembra solo sapersi dividere. Alla faccia di tutti gli appelli all’unità che pure nella giornata di ieri si sono sprecati. Anche se molti, a partire da Zingaretti, davano ormai per scontata la rottura pur non conoscendone i tempi. Paradossalmente la resa dei conti non avverrà perché il segretario vuole dialogare con i 5Stelle ma, al contrario, perché vogliono farlo i renziani dopo aver osteggiato per oltre un anno ogni ipotesi di avvicinamento. È difficile però che bastino i gruppi renziani a fare da levatrice ad un governo di transizione con Di Maio. Anche ammesso che i 5Stelle accettino una alleanza con quello che fino a ieri erano uno dei loro più acerrimi nemici (ed è tutt’altro che scontato), per raggiungere la maggioranza servirebbero altri soccorsi. Ci vorrebbe anche il sostegno di una parte del misto, tra autonomisti ed ex grillini, e di Forza Italia o almeno di una sua parte consistente. Non che non ci si stia provando. Secondo la maggioranza zingarettiana i renziani avrebbe già avviato i colloqui con forzisti del Senato. Con quali esiti non è dato sapere per il momento. Ma gli scenari potrebbero anche cambiare. L’alternativa non è solo tra le urne subito, tutt’ora la via maestra secondo Zingaretti, e quello che lo stesso segretario chiama “l’accordicchio”, cioè il governo di transizione con i pentastellati lanciato da Renzi, che duri pochi mesi, faccia la manovra (evitando l’aumento dell’Iva) e il taglio dei parlamentari, per poi traghettare il Paese al voto. Che certo darebbe ai renziani un tempo adeguato a lanciare il nuovo partito, ma che potrebbe vedere un Pd penalizzato poi alle elezioni per aver sostenuto una manovra lacrime e sangue con gli ex alleati della Lega, come paventa Pierluigi Castagnetti. La terza via potrebbe essere quella indicata ieri da Goffredo Bettini, uno dei consiglieri più ascoltati dal segretario, caldeggiata anche da Dario Franceschini e da chi, nella maggioranza zingarettiana, e anche nel sindacato e tra i padri nobili, è convinto che bisogna fare di tutto per non lasciare il Paese nelle mani di una destra autoritaria che reclama i “pieni poteri”. Si tratta di un “governo di legislatura”, che non vede ostili neanche Graziano Delrio e Matteo Orfini, che duri circa tre anni, almeno fino all’elezione del nuovo presidente della Repubblica nel 2022. Perché il pericolo da scongiurare, per i fautori di questa operazione, è proprio quello di lasciare gestire quella scelta a una destra antidemocratica. Bettini, nell’intervento pubblicato ieri sull’Huffington Post, ipotizza una “operazione limpida”, che dovrebbe verificare «se i 5Stelle sono in grado di cambiare radicalmente il gruppo dirigente che ha fallito, di abbandonare i temi più demagogici ed eversivi, di concordare un programma di ferro per la rinascita del Paese». Insomma un vero governo Pd-5Stelle, che presuppone un passo indietro di Di Maio (e magari uno avanti di Roberto Fico), con poche priorità programmatiche decise insieme (e non è detto che potrebbe esserci il taglio dei parlamentari così come previsto ora dalla riforma grillina), che di certo dovrebbe abolire i decreti sicurezza di Salvini e la sue politiche xenofobe. E il premier? Potrebbe essere «una figura di grande autorevolezza democratica, nazionale e internazionale» scrive Bettini. I nomi già circolano, tra tutti quello di Raffaele Cantone, l’ex presidente dell’ Anticorruzione. Ma sono giochi davvero prematuri, anche se i contatti con i grillini sono in corso. Zingaretti per ora si tiene a distanza di sicurezza da questo scenario, perché sa che la via è strettissima e le trappole disseminate sul suo cammino molte. Ribadisce che la linea è quella decisa dalla direzione due settimane fa: niente accordi con i pentastellati. Ma non chiude del tutto. Lascia che ne parli un suo fedelissimo come Roberto Morassut e ieri sera lui stesso al Tg1, messo di fronte all’ipotesi di un governo di legislatura si è limitato a rispondere così: «Questo è nelle prerogative del presidente della Repubblica che per fortuna abbiamo, è saggio, e sa tenere in mano benissimo le leve della crisi». E non sarà un caso se ieri il messaggio su cui i 5Stelle più insistevano suonava del tutto identico: «Ci affidiamo al presidente della Repubblica». E Renzi? L’ex premier è perfettamente consapevole che questo tentativo è in atto. E, con i suoi gruppi di “Azione civile”, sarebbe pronto a convergere.