Il Sole 24 Ore, 11 agosto 2019
Il ministero dell’Economia deve raccogliere entro la fine dell’anno 125 miliardi di euro (lordi) attraverso l’emissione di titoli di Stato a breve, medio e lungo termine
Centoventicinque miliardi di euro. Mentre lo spread tra BTp e Bund s’impenna, i tassi d’interesse salgono, l’incertezza politica va alle stelle, questa sarà la missione del ministero dell’Economia: raccogliere da qui alla fine dell’anno – secondo le stime di Chiara Manenti dell’ufficio studi di Intesa Sanpaolo – qualcosa come 125 miliardi di euro (lordi) attraverso l’emissione di titoli di Stato a breve, medio e lungo termine. Per fortuna il buon umore che ha accompagnato l’Italia sui mercati negli ultimi mesi ha permesso al Paese di raccogliere già, da gennaio a oggi, 284 miliardi. Per fortuna questo ha consentito al Paese di finanziare il suo fabbisogno e di avere in cassa, nel Conto di disponibilità del Tesoro, qualcosa come 78 miliardi di euro. Ma il fieno già messo in cascina non basta: i prossimi mesi saranno comunque impegnativi per un Paese super-indebitato che sui mercati finanziari deve continuamente attingere alla linfa per vivere e onorare le scadenze. Solo a settembre scadono BoT e BTp per 56 miliardi.
Questi numeri non hanno nulla di strano per l’Italia. Tutti gli anni il Paese si trova a rifinanziare una quota così grande di debito pubblico. Tutti gli anni concentra le emissioni di titoli di Stato su alcuni mesi, scaricando poi quello di dicembre. Ma quest’anno – come già accaduto altre volte in passato – il rischio è che il Tesoro si possa trovare a gestire la normalità in una situazione anormale sui mercati: se l’incertezza restasse elevata, se i rendimenti continuassero a salire, se l’appetito degli investitori globali dovesse calare (peccato perché ultimamente stava invece aumentando), allora non sarà una passeggiata raccogliere quei 125 miliardi a costi contenuti. Il rischio è di pagare di più. Di aumentare cioè la spesa per interessi. E, dunque, di ridurre quegli spazi fiscali che all’Italia servono come l’aria. È presto per trarre conclusioni: per avere un’idea dell’atteggiamento del mercato bisognerà almeno vedere l’apertura di lunedì e le aste di BTp di martedì. Gli investitori potrebbero infatti calmarsi dopo la tempesta di giovedì e venerdì (soprattutto dopo che ieri Salvini ha dichiarato che non è sul tavolo l’idea di uscire dall’euro), oppure potrebbero restare tesi. L’importante è che nei mesi a venire torni una certa tranquillità.
Gli appuntamenti per il Tesoro infatti non mancano. Via XX Settembre dovrebbe emettere nei prossimi mesi nuovi titoli di Stato per le scadenze 3, 5, 7 e 10 anni. «Negli ultimi 4 mesi dell’anno le emissioni nette saranno negative – osserva Chiara Manenti, economista di Intesa Sanpaolo – e questo crea un certo spazio sul mercato per disinvestire». Insomma: nei prossimi mesi scadranno più titoli di Stato di quanti il Tesoro ne dovrà emettere: questo diminuisce la pressione sugli investitori. E riduce l’ansia per lo Stato. Inoltre il fatto che il Tesoro abbia 78 miliardi di disponibilità liquide aggiunge ulteriore tranquillità in momenti turbolenti di mercato. Ma fino a un certo punto: «Ugualmente il Tesoro dovrà tenere il ritmo delle emissioni, non può ridurre gli importi di titoli di Stato da collocare in asta», aggiunge Chiara Manenti. Insomma: un certo cuscinetto l’Italia ce l’ha. Ma non basta.
Sebbene non siamo su livelli di tensione che possano far temere aste deserte, il problema esiste comunque. E riguarda il costo delle emissioni. Perché è vero che negli ultimi mesi grazie alla politica Bce e grazie all’assestamento dei conti pubblici il tasso d’interesse dei titoli di Stato è sceso (quello dei BTp decennali ha superato per qualche momento il 3% lo scorso 8 febbraio e ora sta all’1,82%), ma è anche vero che l’Italia paga già oggi rendimenti completamente fuori dagli standard degli altri Paesi dell’area euro. Quell’1,82% dei BTp decennali si confronta infatti con il -0,57% dei Bund tedeschi, il -0,26% dei titoli francesi, il -0,22% di quelli del Belgio, lo 0,02% di quelli irlandesi, lo 0,24% di quelli spagnoli e lo 0,29% di quelli portoghesi.
L’Italia è invece costretta a pagare l’1,82%. Questo – pur nel contesto di tassi in calo – rappresenta già oggi un extra-costo per le casse dello Stato: secondo i calcoli effettuati su lavoce.info da Maria Cannata (ex direttore generale del Tesoro per il debito pubblico), se l’Italia avesse avuto lo stesso spread della Spagna negli ultimi anni avrebbe risparmiato – in un orizzonte di soli 12 mesi – 1,2 miliardi di interessi sulle emissioni del 2017, 2,9 miliardi su quelle del 2018 e 1,5 sulle emissioni effettuate tra gennaio e maggio 2019. Se ora lo spread sale ulteriormente il costo aumenta. Riducendo lo spazio per la Manovra che già ora appare molto complessa.