Corriere della Sera, 11 agosto 2019
In morte di Piero Tosi
Piero Tosi, morto ieri a 92 anni, allievo fiorentino di Ottone Rosai, è stato fra i grandi costumisti italiani e nei suoi ricchi vestiti passava il sentore di un’epoca: professionismo, studio e genialità, ottimizzate in oltre 60 film e spettacoli teatrali.
Suo pigmalione fu Visconti collaborando a tutti i suoi film, da Bellissima quando il giovane Piero andava a bussare alle porte di una casa chiedendo una vestaglietta stropicciata per la Magnani. Fu premiato con 3 David di Donatello, 8 Nastri d’argento, 3 British award e l’Oscar alla carriera nel 2013, ritirato dalla Cardinale. Che aveva vestito da ricca e povera, da signora e sfacciata nella Viaccia (memorabile lavoro per Bolognini), e naturalmente nel Gattopardo: il modello della festa del valzer di Verdi, ballato in organza bianca, aveva stecche di balena e un girovita ridotto a 51 cm. Ma la Cardinale, come tutte le sue dive, dalla Mangano alla Schneider, dalla Valli a Callas-Medea, l’ha amato perché il lavoro la valorizzava. Chiunque indossasse un suo costume, era per magia il personaggio: Delon e lo zio principe Lancaster, Berger in Ludwig, il cappottone sdrucito di Mastroianni nei Compagni, le toilette liberty dai grandi cappelli di Morte a Venezia, con Tadzio marinaretto, la guepière famosa a balconcino della Loren che fa lo strip in Ieri, oggi, domani.
Fruscianti memorie legate al fasto di film e spettacoli di Visconti e Zeffirelli, dove ogni figurante doveva essere perfetto e ogni piega del costume obbedire alla regia. Un’idea di perfezione che oggi è impossibile pensare: ma si può raccontare, come insegnò Tosi per 28 anni al Centro Sperimentale. Uomo di fiducia della Cavani (indimenticabile Rampling in bretelle nel Portiere di notte), Comencini, Monicelli, De Sica, ha percorso la carriera dell’amico Bolognini, vestendo Marisa Allasio civetta fino all’amato Bubù Ranieri e alla «Huppert dalle camelie». Grande nel cucire tra raso e velluto pezzi di storia e psicologia, Tosi era la ricerca del dettaglio, faceva con un colore o una piega rivivere un’epoca nel suo rigore storico. E vestì ogni classe sociale, i nobili di Baviera, i proletari di Rocco, i fiorentini di Metello, la borghesia di Senilità o di Gian Burrasca, i completi da turista di Bogarde in Morte a Venezia, le buffe acconciature di Serrault nel Vizietto.
Tanti titoli che lo portavano ogni volta lontano, in stanze regali del passato, a spasso nel tempo, lui che si trovava bene nel piccolo appartamento vicino a Piazza Navona. Fu omaggiato con la mostra «Esercizi di bellezza» che riepilogò una carriera irripetibile, senza dimenticare Goldoni e Cecov con Visconti (e fu assistente di Maria De Matteis) e con lui pure la Sonnambula e la mitica Manon di Spoleto. Ma dovendo scegliere un titolo, certo Il Gattopardo, con le centinaia di costumi della festa alla Guèrmantes che appassiscono nelle lente ore della note, è la summa di Tosi: la consapevolezza che il profumo di un mondo può soffiare anche dalle pieghe di un abito.