Corriere della Sera, 11 agosto 2019
Generazione di precari
Sono giovani donne, sui trent’anni, che nell’Italia del precariato lavorativo, e sentimentale, lottano con goffaggine, senza nascondere le fragilità. Fa da sfondo una nota di mistero, quanto basta per spingere la realtà nella dimensione romanzesca: sono le protagoniste di Alessia Gazzola, 37 anni, che ha portato nei suoi libri un’intera generazione. A oggi 8 titoli dedicati alla serie con protagonista Alice Allevi, due romanzi a sé (Lena e la tempesta, è uscito da Garzanti) e il primo di una nuova serie in arrivo a ottobre. Lo scorso 21 luglio l’autrice messinese, medico legale, ha vinto il 67° Premio Bancarella con Il ladro gentiluomo (Longanesi, 2018), che assicura essere ultimo della serie (per ora).
Che cosa ha significato ricevere il Bancarella con «Il ladro gentiluomo»?
«È un premio importante perché è assegnato dai librai, che stanno in prima linea tra le opere e i lettori. Il ladro gentiluomo è l’ultimo di un ciclo, credo abbia vinto perché è una sorta di resa dei conti per Alice Allevi. Ed è un riconoscimento all’idea che anima la serie».
Dall’esordio, il suo successo è stato una veloce parabola. Quando ha deciso che da medico sarebbe diventata scrittrice?
«Avevo 27 anni quando tutto è iniziato e nessuna idea di come funzionasse il mondo dell’editoria. Ho cercato un’opinione sui miei testi, poi tutto è stato facile: mi ha aiutata l’incoscienza. Non mi prendevo troppo sul serio, un po’ per carattere, un po’ perché un lavoro lo avevo già. Ma la vita è anche questo: fare l’incontro giusto».
Da dove arriva la scrittura?
«I primi racconti alle scuole elementari. Scrivere è sempre stata una modalità di espressione preferenziale, mi sento a mio agio nell’inventare storie, rigorosamente d’amore. All’Allieva ci sono arrivata dopo un percorso di scrittura amatoriale, privata... solo mia madre mi leggeva».
E il giallo?
«Arriva dopo, con L’ allieva. I miei romanzi sono un po’ commedie sentimentali, un po’ gialli, un po’ ricerca della propria identità. Un focus su quella fascia d’età, i trent’anni, in cui capisci che cosa vuoi diventare, chi vuoi essere ma il processo è ancora in divenire. Nell’Allieva è confluito tutto questo. Il giallo c’era, ma quasi inespresso, finché mi sono chiesta: e se dovessi raccontare la storia di una ragazza alle prese con la medicina legale, come me?».
Oltre alla professione, quanto ha in comune con lei Alice Allevi?
«Alice non è il mio alter ego ma abbiamo dei punti di contatto, come il lavoro, le sensazioni. L’a llieva è nata in risposta anche a sentimenti di inadeguatezza, che io provavo da specializzanda; poi mi ha preso la mano, le ho dato una vita sentimentale divertente e si è allontana da me fino a diventare una prova di immaginazione...».
…finché non ha provato il bisogno di prendere una pausa.
«Sì, è necessaria. C’è il rischio di ripetersi e riproporre le stesse dinamiche che a volte per il lettore sono rassicuranti ma possono stancare. E sento di non avere più la storia giusta. Finché questa sensazione perdurerà non ci sarà un’altra Allieva».
È soddisfatta dalla trasposizione televisiva delle sue storie su Raiuno?
«Ho partecipato alle sceneggiature ma credo che i due prodotti parlino linguaggi differenti. Libri e serie tv sono come due gemelli eterozigoti: nati insieme, stesso Dna, ma si assomigliano a tratti. Detto ciò, il risultato finale l’ho trovato divertente».
Oltre ad Alice, tutte le sue protagoniste sono giovani donne alle prese con l’incertezza, non solo lavorativa…
«Tutti i miei romanzi sono messi a fuoco sulla precarietà dei trentenni, con contratti in scadenza, rinnovi incerti. Questo mondo fa parte della mia generazione, alla quale sono rimaste le briciole. L’instabilità economica e professionale si tira dietro la precarietà affettiva: a lungo termine non puoi programmare più di tanto».
Il suo libro più recente, «Lena e la tempesta», si allontana del tutto da Alice. La protagonista nasconde un segreto doloroso. Da dove viene questa storia?
«Ho sempre scritto storie di ragazze in fasi critiche della vita ma trasportandole sul piano della leggerezza, della commedia. Ora volevo esplorare un disagio profondo e raccontarlo, senza minimizzarlo, attraverso una scrittura fruibile, che potesse offrire un senso di ottimismo finale. È la storia della sedimentazione di un segreto e delle conseguenze a cui può portare. Ho fotografato uno stato d’animo, ma dietro c’è anche un lavoro di scavo interiore. Non è stato un romanzo semplice».
«Questione di Costanza» è il nuovo titolo che uscirà a ottobre per Longanesi. Arriverà una nuova protagonista?
«Sì, una ragazza madre di 29 anni, specializzata in Anatomia patologica che accetta un posto di lavoro di cui non è convinta, in un istituto di paleopatologia dove si studiano le malattie del passato. La contaminazione dei generi è quella de L’a llieva, così come il tono e la messinscena. Al centro c’è sempre una ragazza e il suo percorso».
È il primo di una serie?
«Sì, me la immagino come una trilogia. Ora Costanza ha un contratto di un anno, poi tornerà a fare quello che ha studiato».
Si riconosce «giallista rosa», come l’hanno a volte definita?
«Descrivo stati d’animo al femminile e condisco le storie con elementi differenti, ma non sono una giallista, se non imperfetta. Con Alice ho utilizzato il giallo, con Costanza utilizzerò un’indagine medico-storica. Ma ciò che accomuna Alice, Emma, Lena, Costanza è che sono tutte nel mezzo di un’instabilità affettiva e lavorativa».