Corriere della Sera, 11 agosto 2019
Epstein s’è suicidato
Alla fine, si è suicidato. Alle 6.30 di ieri mattina Jeffrey Epstein è stato trovato impiccato nella sua cella a Manhattan. Non sono riusciti a rianimarlo, è stato trasportato in ospedale: deceduto. L’Fbi e il ministero della Giustizia annunciano che indagheranno. La domanda sulla bocca di tutti è: perché – come emerso da indiscrezioni – il finanziere sotto accusa per traffico sessuale di minorenni non era più sotto sorveglianza speciale? A luglio era già stato trovato con segni sul collo in quella stessa cella.
Eloquente la reazione delle vittime: rabbia per un suicidio che considerano «l’ultimo atto di egoismo». Ancora una volta Epstein ha evitato le sue responsabilità davanti alla Giustizia.
Il finanziere, che fu amico del principe Andrea e dei presidenti Bill Clinton e Donald Trump, aveva continuato a dichiararsi non colpevole, parlando di «relazioni consenzienti» e affermando di non sapere che alcune delle donne con cui si intratteneva fossero minorenni. Ma quello di Epstein non è solo un caso di sesso con ragazzine: è un caso di traffico sessuale, che coinvolge figure di altissimo rilievo in America e nel mondo. Passato sotto silenzio per vent’anni, perché con la ricchezza, i celebri avvocati e i contatti, Epstein ha aggirato il sistema giudiziario. A luglio il ministro del Lavoro di Donald Trump, Alexander Acosta, si è dimesso perché nel 2008, da procuratore in Florida, approvò un patteggiamento che permise a Epstein di dichiararsi colpevole di incitamento alla prostituzione di minori, scontando 13 mesi ma evitando pene federali peggiori. E negli anni successivi il finanziere fu un generoso filantropo, donando a Harvard e al MIT per rifarsi la reputazione. Ma un’inchiesta del Miami Herald ha fatto riaprire il caso dai procuratori federali, ottenendo anche la pubblicazione delle carte depositate dagli investigatori. Testimonianze, rapporti di polizia, foto, ricevute: duemila pagine pesanti relative agli anni 2002-2005, rese pubbliche proprio la notte prima del suicidio.
Dai documenti emerge che decine di ragazzine di 14-15 anni, reclutate nei resort ma anche a scuola, passarono dalle sue ville a Manhattan e in Florida. «Ero una schiava sessuale», dice Virginia Giuffre, 16 anni nel 2000: faceva la massaggiatrice a Mar-a-Lago, il resort di Trump, quando la compagna di Epstein, l’ereditiera inglese Gislaine Maxwell, le offrì lavoro. Le insegnò a fare massaggi erotici. Lui esigeva tre orgasmi al giorno e li regalava agli amici: c’erano tavoli da massaggi in ogni stanza, il maggiordomo ripuliva il bagno dai sex toys e le pagava con centoni e «regalini» come iPod e gioielli. Giuffre dice che le fu chiesto di avere rapporti con il principe Andrea, l’ex governatore del New Mexico Bill Richardson, l’ex senatore George Mitchell, il finanziere Glenn Dubin, mentre di Trump afferma di «non averlo visto far sesso con le ragazze». Ora tutti negano. Soprattutto Buckingham Palace: «Illazioni completamente false». Nega anche l’uomo al quale Epstein deve la sua fortuna, il proprietario di Victoria’s Secret Leslie Wexner che per 16 anni gli fece amministrare i suoi soldi finché si accorse che rubava. Ora le cause civili consentiranno alle vittime di ottenere risarcimenti. Ma l’uomo che avrebbe potuto rivelare i nomi di tutti coloro che erano coinvolti è morto. E c’è chi teme che la fine di Epstein possa essere la fine dell’inchiesta.