Il Sole 24 Ore, 10 agosto 2019
In Giappone il Pil cresce
Nonostante il calo dell’export legato al rallentamento regionale e alle tensioni commerciali tra Washington e Pechino, l’economia giapponese ha chiuso il secondo trimestre su note relativamente positive, ma sulla fine dell’anno si addensano le nubi di una possibile recessione – connessa al previsto aumento dell’Iva dal 1° ottobre – che il governo intende cercare di evitare introducendo esenzioni e misure di stimolo alle quali potrebbe accodarsi la banca centrale.
Il Pil nipponico è cresciuto dello 0,4% sul primo trimestre 2019, pari a un tasso annualizzato del +1,8%: un dato decisamente oltre le attese, anche se in frenata rispetto al dato annualizzato rivisto al +2,8% dei primi tre mesi dell’anno. A spingere l’economia sono stati i consumi (+0,6%) e gli investimenti privati (+1,5%) e pubblici (+1%), in relazione anche a due fattori speciali: l’avvio della nuova era “Reiwa” secondo il calendario tradizionale – con la “concessione” di una vacanza primaverile di ben 10 giorni in occasione dell’ascesa del nuovo imperatore – ha contribuito a creare una atmosfera positiva e spronato il settore turistico e dei trasporti, mentre la prospettiva del prossimo rialzo dell’Iva dall’8 al 10% ha indotto una accelerazione degli acquisti di beni durevoli che sicuramente – sottolinea una nota di Goldman Sachs – sta continuando nel trimestre in corso, per il quale l’attesa generale è di una performance robusta. Fa scuola il precedente del 2014, quando l’incremento dell’imposta sui consumi dal 5 all’8% provocò una recessione dopo un trimestre brillante appena precedente. Il premier Shinzo Abe ha già rinviato di 4 anni l’ulteriore aumento della pressione fiscale indiretta, che era stato concordato tra i principali schieramenti politici: l’ultimo dato sul Pil garantisce che questa sarà la volta buona. L’anomalia politica rispetto a quanto accade altrove è che Abe sia riuscito a vincere le recenti elezioni per la Camera Alta benché le opposizioni abbiano cercato voti dichiarando la loro contrarietà a più tasse.
Gli osservatori politici hanno spiegato che in Giappone i fautori di meno tasse non hanno sfondato non solo per motivi di ordine generale (dalla bassa affluenza alle urne alla presa governativa sui media, fino al persistente appeal della “stabilità”), ma per la consapevolezza, presso l’elettorato della società più invecchiata del mondo, della necessità di misure per la sostenibilità del debito pubblico a garanzia della copertura delle ingenti spese per il welfare e le pensioni. Un altro trend ha riflessi positivi: le forti carenze di manodopera in vari settori inducono le imprese a effettuare forti investimenti di capitale in nuove tecnologie sostitutive del lavoro umano, che si sommano a quelle per l’arrivo del 5G.
Pesa sullo scenario anche l’eventuale intensificarsi del contrasto sino-americano, che si somma all’aggravamento delle tensioni sul trade con la Corea del Sud. Tokyo ha infatti introdotto ostacoli al suo export verso Seul di componenti-chiave per l’industria dei semiconduttori e dei display in ritorsione per le richieste di risarcimento piovute su imprese giapponesi in relazione al periodo coloniale (questione che il Giappone ritiene risulta dall’accordo diplomatico del 1965).