il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2019
Maigret compie 90 anni
“L’estate Simenon”, l’hanno battezzata i parigini. Mica hanno torto. Non solo il 4 settembre ricorre il trentesimo anniversario della sua morte ma, ma tra la fine d’agosto e settembre si festeggia anche la nascita – sulla carta – della sua creatura più famosa e amata, avvenuta novant’anni fa, nel 1929: il commissario Maigret. Che all’anagrafe, tanto per essere pignoli, risulta essere Jules Amédée François Maigret, nato a Saint-Fiacre (nel dipartimento dell’Allier) nel 1885. O forse nel 1887. Le due date affiorano contraddittorie qua e là, nei 76 romanzi e nei 28 racconti in cui Maigret è protagonista. Ricostruire la biografia del commissario con la pipa è diventato un mestiere. Del resto, affiora ora in un libro ora nell’altro. Sappiamo, per esempio, che il padre Evariste era amministratore del castello di Saint-Fiacre, e che morirà a soli 44 anni nel 1906. Che la madre Hernane, figlia del droghiere del paese, muore dopo un travagliato secondo parto, nel 1895. Sappiamo inoltre che nel 1909, entrato a far parte della polizia parigina, Maigret inizia come agente ciclista ma, avendo frequentato la facoltà di Medicina a Nantes prima di arrivare nella capitale francese, ben presto viene cooptato come segretario del commissario del quartiere Saint-Georges. Tre anni dopo conosce una graziosa ragazza di Colmar, un’alsaziana che si chiama Louise Léonard e la sposa nel 1912.
Secondo la generosa narrazione dello stesso Georges Simenon (consultate la prefazione alle sue Opere Complete del 1966, redatta a Epalinges il 24 marzo 1966) Maigret sarebbe comparso per la prima volta come protagonista del romanzo Piotr il Lettone, che tuttavia verrà pubblicato soltanto due anni dopo.
Il racconto di questo mitico parto letterario è piuttosto dettagliato, la memoria di Simenon ha del prodigioso nonostante siano trascorsi 37 anni. Nel 1929 aveva ventisei anni e mezzo (era nato un venerdì 13 del febbraio 1903, a Liegi), e tuttavia aveva già scritto 120 romanzi firmandoli chi dice con 17 chi invece con 18 pseudonimi diversi. Un “monstre”, per gli editori.
Dunque, in quell’estate afosa del 1929, Simenon stava navigando per i canali del Nord, al settentrione dell’Olanda, a bordo dell’Ostrogoth, la sua seconda barca, un cutter varato in primavera dai cantieri normanni di Fécamp, insieme a Régine, la prima moglie che lui chiamava Tigy. Quando ho visitato a Liegi la mostra Tout Simenon (1993), nella vetrina numero 77 era esposto il manoscritto (tratto da Mémoires intimes) in cui lo scrittore spiegava perché avesse scelto quel nome insolito: “Parce qu’il a la rudesse de notre lointain ancêtre, je le baptise l’Ostrogoth…” (“Poiché ha la rudezza del nostro lontano antenato, io lo battezzo l’Ostrogoto…”, ndr). Mai, aveva aggiunto, avrei immaginato quanto importante sarebbe stato per me, perché i due anni successivi avrebbero cambiato la mia vita”.
Succede infatti che la barca abbia un’avaria. Deve essere riparata. Fa scalo a Delfzijl, cittadina della provincia di Groningen, nel Nordest dei Paesi Bassi. Ha appena terminato un altro dei suoi romanzi “alimentari”, come confesserà anni dopo. Ha già in testa una nuova trama. Scova un caffé. Le Pavillon. Rammenta il padrone che puliva i tavolini con olio di lino. Mai ne aveva visti di così lucenti: riflettevano il sole come fari. Il caffé è deserto. Ordina due, tre bicchierini di gin con una goccia di bitter. Si sente leggermente stordito. Ha come una visione. Vede avanzare la figura di una persona dalla corporatura massiccia, largo di spalle, di aspetto rassicurante. Pensa: potrebbe essere il commissario che mi serve per il romanzo. Piano piano, aggiunge altri particolari: una pipa, il cappello a bombetta. Un cappotto scuro di buona lana con collo di velluto. Aggiunge una stufa, nello scenario che sta ideando. Strano. Spiega: “Sentivo umidità. Freddo”. Esce dal caffé. Si guarda attorno. Scova una vecchia chiatta abbandonata, semiallagata. Decide che sarà il suo bureau. Sistema su una cassa la macchina da scrivere. La sedia la ricava da una cassetta più bassa. Su altre due poggia i piedi perché non si bagnino. Può cominciare. Batte vorticosamente: 90 battute al minuto. In poche ore, ecco il primo capitolo di Piotr il Lettone. Il romanzo lo completa in meno di una settimana.
Maigret sarebbe nato così: “Di getto”. E il nome del commissario? Era quello di un vicino di casa, a Parigi. Simenon abitava al 21 della splendida Place des Vosges: “Quando ha saputo che avevo prestato il suo nome a un volgare poliziotto, non l’apprezzò affatto”, disse in un’intervista apparsa su Télé7Jours (12-18 aprile 1986).
Ma invece Maigret non nacque di getto. E non con Piotr il Lettone. Simenon ha barato. Secondo i filologi e critici Claude Menguy e Pierre Deligny, lo scrittore belga maturò la figura di Maigret in due anni, disseminandolo in 18 personaggi. Nell’Amant sans nom (contratto firmato il 15 luglio 1928) ci si imbatte in un ispettore senza nome, denominato “N.49”, che prefigura Maigret: come lui, massiccio. Come lui, gran fumatore di pipa. Come lui, ostinato. Ma è in Train de nuit che compare esplicitamente un commissario Maigret. Il contratto lo firma il 30 settembre 1929. Per i due critici, questo è il vero debutto del commissario, non Piotr il Lettone probabilmente scritto un anno dopo. Detto fra di noi, la versione di Simenon è assai più bella.