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 2019  agosto 10 Sabato calendario

I vent’anni da leader di Putin

 Giusto vent’anni fa Vladimir Putin diventava primo ministro della Federazione russa. Nessuno o quasi lo conosceva poiché da relativamente poco tempo, questo anonimo funzionario di San Pietroburgo fedelissimo di Anatolij Sobchak, primo sindaco democratico della città baltica ed uno dei padri della Costituzione russa post sovietica – era stato nominato direttore dell’Fsb, l’ex Kgb, ossia i Servizi segreti federali.
Da quasi due anni l’allora presidente, Boris Eltsin, cercava un successore per perché era ormai arrivato a fine carriera per i troppi problemi fisici e poi – secondo la Legge fondamentale da lui voluta – non era più candidabile l’anno successivo per aver già svolto due mandati consecutivi. In precedenza il capo del Cremlino aveva puntato gli occhi su altri possibili papabili alla massima carica del gigante slavo.
GLI AVVERSARI
Ma Boris Eltsin aveva bocciato via via l’esperto Evghenij Primakov, il 35enne Serghej Kirienko (oggi uno dei punti di riferimento dell’Amministrazione Putin) che non era riuscito ad evitare una disastrosa svalutazione del rublo il 17 agosto 1998 e Serghej Stepashin, in tempi recenti valente presidente della Corte dei conti. La candidatura di Boris Nemtsov, in quel periodo vice-premier e la cui attività politica era di frequente vagliata dall’opinione pubblica federale, venne invece scartata per i troppi errori giovanili commessi e per il suo carattere troppo irascibile.
Varie ricostruzioni hanno raccontato le dinamiche dell’inattesa scelta, suggerita da Boris Berezovskij, un oligarca della prima ora post sovietica una specie di deus ex machina a quei tempi al Cremlino. Ma Vladimir Putin aveva in realtà tutte le carte in regola. Primo: era un allievo di Sobchak ed era arrivato da San Pietroburgo nel 1996 all’Amministrazione del Cremlino, grazie a Pavel Borodin, il suo tesoriere. Secondo: aveva dimostrato di essere affidabile e di saper difendere i propri padri politici. La sua parola è sacra. Terzo: Putin era giovane, pieno di energie, elementi necessari in quel momento per risollevare la Russia in particolare nella guerra nel Caucaso settentrionale contro le infiltrazioni radicali.
Il cruccio maggiore di Boris Eltsin era che la Russia non interrompesse il percorso post comunista e legato all’economia di mercato intrapreso dopo il crollo dell’Urss nel dicembre 1991. Inoltre, conoscendo la storia patria, l’anziano leader doveva garantire il futuro per sé, per la sua famiglia allora molto esposta politicamente e per i suoi amici. Ed infatti dopo il passaggio dei poteri nessuno è mai stato toccato o ha pagato per quanto fatto negli anni Novanta.
LE RICONFERME
Del resto Vladimir Putin ha riconfermato il gruppo di economisti riformisti e liberali che avevano condotto il Paese subito dopo il 1991, gestendo saggiamente la svalutazione del rublo del 1998 e il boom dei prezzi petroliferi a livello internazionale. Ha semplicemente gestito in maniera diversa i ministeri della forza – ossia Difesa, Interni e Servizi segreti riorganizzandoli come ha fatto con il sistema informativo. Il modello di conduzione russo può facilmente essere annoverato come il primo che nel XXI secolo ha compreso l’importanza della gestione diversa della comunicazione. Ed infatti: dopo la sorpresa inattesa delle dimissioni anticipate di Boris Eltsin nella terribile notte del 31 dicembre 1999, Vladimir Putin – in quel momento diventato capo dello Stato facente funzioni – volò con la moglie a passare il Capodanno al fronte con i militari che combattevano contro gli islamici. Da qui poi la frase «li beccheremo anche nei cessi», messaggio chiarissimo al Paese che l’aria era cambiata e che la Russia risorgeva.
IL RITIRO
«Se Putin si fosse ritirato nel 2008 (alla scadenza dei suoi due mandati presidenziali) sarebbe passato alla storia come uno dei migliori leader del suo Paese», ha scritto la stampa russa non allineata al Cremlino. Ed invece sono venuti la «verticale del potere», la ferita ucraina, la lotta senza quartiere contro l’opposizione e alcune storie poco chiare in Patria ed all’estero. Per non parlare dello scollamento tra l’Europa e la Russia con quest’ultima buttatasi strategicamente tra le braccia della Cina, da secoli avversaria di Mosca. Il tempo passa, ma per Vladimir Putin il momento del passaggio di poteri – come fece Boris Eltsin nel 1999 – pare ancora lontano.