la Repubblica, 10 agosto 2019
C’è un paese nel bergamasco dove, dopo cena, le auto non possono circolare perché i bambini devono giocare
VILMINORE DI SCALVE (BERGAMO) – Perché il bastoncino faccia rotolare diritto il “sercol”, sui ciottoli delle rampe che scendono all’antica Pieve, ci vogliono occhio e polpaccio. Come per vincere a “mondo": un sassolino e un piede che lo segue in volo sopra la croce disegnata con il gesso sull’asfalto. Giocare non è uno scherzo e bisogna sapere molte cose per sentirsi felici. Anche da bambini: serve allenamento per entrare nella libertà. Più un paese, una strada e almeno un cortile, se non si può correre nell’erba. «Andare in monopattino – dice Eva – se non c’è spazio è inutile». Ha sette anni ed è nella banda dei 94 bambini di Vilminore di Scalve, nove frazioni ai piedi della Presolana tra le montagne della Bergamasca. In agosto si raddoppia: quasi 200 bambini reduci da mesi di città. Soffocati dal traffico, prigionieri in casa, condannati alla tivù e allo smartphone dei genitori.
Il sapore della solitudine condivisa svanisce però appena il naso rientra finalmente dentro l’aria. A Vilminore per un mese si può gridare, impennare in bici e perfino ridere perché c’è qualcosa da fare. «Per esempio nascondino – dice Manuel – guardie e ladri, elastico e corda, darsela e pallone». I divieti puniscono gli adulti e sembra incredibile ma l’idea è venuta proprio a loro. «In primavera abbiamo deciso – dice – Augusta Magri, mamma di tre bambini fra 8 e 15 anni – che in estate, dopo cena, le auto avrebbero risparmiato la strada più abitata dai bambini. Pensavamo di liberarne una trentina, residenti e figli di chi se ne è andato dal paese per lavorare e si riaffaccia per le ferie. Invece si danno appuntamento qui da tutta la valle di Scalve. Tra le 20 e le 22 si spengono i motori, tra le case si gioca e stop».
Non sono bastate due transenne. Il capo dei vigili, Gianmaria Pizio, è stato chiaro: «Va bene dire che il paese sceglie i bambini e riconosce prima di tutto il loro diritto di giocare insieme all’aria aperta – ha detto – ma a me per fermare le auto serve un’ordinanza». Il sindaco e i due assessori della giunta l’hanno fatta: «Vilminore chiude causa bambini che giocano». Fino a fine agosto e tutte le sere. «E non è detto – dice il primo cittadino Pietro Orrù, 33 anni e due figlie – che si prolunghi in autunno. Qui si va a funghi e le vacanze non finiscono a Ferragosto, ma con l’inizio della scuola».
Di giorno, nessun problema. Ai bambini, con i grandi al lavoro, badano i nonni. I guai erano la sera. «Durante l’anno – dice Anna Chiara Giudici, mamma di due figli di 11 e 8 anni – a Vilminore è il deserto. Poi arriva agosto e dopo cena i bambini vanno in giro. Era un pensiero, ci davamo il cambio per sorvegliare e dare l’allarme. Due transenne hanno fatto il miracolo». Non se ne sono resi conto subito, ma Vilminore è diventato il «paese dei bambini». Una notizia. Il simbolo della nazione spopolata che sceglie di proteggere i suoi figli come una specie in via di estinzione. L’icona dell’Italia che per educare smette di proibire.
«Venezia e Roma – vietano di tuffarsi e di sedersi – dice Marco Tagliaferri, operaio detto “Luf” – a Milano e a Brescia non si può più saltare nei cortili. I parchi gioco urbani vengono blindati e anche i parroci chiudono i campetti razziati dai bulli. Capisco l’assedio: ma se i bambini non hanno un posto per loro nel mondo, non ci saranno più». In montagna, come nelle periferie del mare, è un’emergenza.
A Vilminore 17 neonati e 21 morti nel 2017, 15 nati e 26 morti nel 2018. Negli anni Sessanta, oltre 10 mila abitanti nella valle. Oggi sono 1500. «Figli pochi – dice Pietro Orrù – i giovani si laureano e non tornano. Del mio anno siamo rimasti in tre. Tutti gli altri spariti tra Brescia, Bergamo e Milano. Giocare non è un gioco: per questo siamo ripartiti dai bambini per la strada». Anche a bagno dentro la fontana, con le labbra viola e un’anguria tra le mani per galleggiare. La trasgressione per imparare che nella vita le regole si rispettano.
Due anni fa aveva cominciato Sfruz, in Trentino. «Abbiamo installato – dice il sindaco Andrea Biasi – il cartello “Attenzione, rallentare, in questo paese i bambini giocano ancora per strada”. Invece di minacciare multe abbiamo parlato al cuore di chi guida: è servito, anche ai vecchi per attraversare». Tra le case sotto la diga del Gleno però hanno fatto più di un passo avanti. Non solo strada chiusa d’estate per esigenze d’infanzia. Hanno inaugurato pure il «pedibus». I bambini si riuniscono all’angolo della farmacia e si prendono per mano. Due genitori, in testa e in coda al corteo, al mattino li accompagnano in classe a piedi, lungo il chilometro di provinciale che conduce alla scuola. Quando fiocca, licenza di palle di neve ed è una festa.
«Non abbiamo pensato ai villeggianti – dice Angela Romelli, mamma di due figli di 3 e 7 anni – ma a chi resta. Se lo Stato ci leva i servizi, noi ci mettiamo la gente. Chiudi una strada e vedi che i bambini giocano e i genitori parlano. Le porte sono aperte, si entra e si esce senza dirlo. Nessuna nostalgia: ma così la vita è un’altra cosa, si è in famiglia e fa molto meno male». Finisce tutto alle 22, dopo che già è buio.
Andrea e Sofia, Martina e Carmine, Chiara e Carlo, Marco e Diana irriducibili tra asilo e terza media, escono dai loro nascondigli e rinunciano a «fare tana». Bagnati da un temporale prendono le transenne che proteggono il loro mondo dell’estate e riaprono la strada all’universo chiuso fuori. «Ecco – dice Martina – fatto. Si va avanti domani». Non disubbidiscono nemmeno in agosto. Nel paese dei bambini è la disciplina a regalare la felicità di dimenticarsi di stare sempre attenti. Lo sanno, non occorre dirlo.