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 2019  agosto 10 Sabato calendario

Il peso di Salvini

Giuseppe Conte ha ragione, dice Ilvo Diamanti: «È evidente che la popolarità di Matteo Salvini dipende anche dal contesto di stabilità di cui Conte è garante». Dunque è anche merito suo. Con il paradosso che il capo della Lega «apre la crisi adesso che gli indici di fiducia sono particolarmente alti verso il governo, e di riflesso anche verso il presidente del Consiglio». E la apre dietro l’impulso di andare da solo alle elezioni, sperando di fare cappotto. Ma chi gli potrebbe dare torto? Ha preso un partito sprofondato al 4 per cento, che alle Europee del 2014 era andato poco oltre il 6: alle Politiche del 2018 ha sfondato la soglia del 17 per raddoppiare fino al 34,33 per cento delle ultime Europee. E la sua marcia trionfale sembra inarrestabile. Fatti come Moscopoli, il caso Siri, o l’episodio del Papeete avrebbero probabilmente aperto una falla nella linea di galleggiamento di chiunque, ma non nella sua. Fra i sondaggi più recenti c’è chi lo proietta oltre il 38 per cento, a un soffio dal record storico di consensi di Matteo Renzi: quel 40 e rotti alle elezioni europee del 2014.«Salvini può contare su un bacino di dieci milioni di voti», è l’opinione di Marco Valbruzzi dell’Istituto Cattaneo. Secondo il quale «per avere la maggioranza dei seggi in Parlamento gli servono altri cinque, forse sei milioni di voti. Dipende certo dall’affluenza, ma l’ordine di grandezza è questo. Da solo», insiste Valbruzzi, «non ce la può fare. Si dovrà necessariamente appoggiare a Fratelli d’Italia, mentre escludo che gli convenga elettoralmente portarsi dietro Forza Italia. Per lui potrebbe essere addirittura controproducente».Un bel dilemma. Rompere con Silvio Berlusconi, stracciare la promessa di un’alleanza perenne con il Cavaliere. Ma la guerra è guerra. E Salvini sa di avere armi che Berlusconi nemmeno si sogna più di poter impugnare. «L’Italia è immersa in un clima di pessimismo, non si vede la strada», dice Alessandra Ghisleri. Per la direttrice di Euromedia Research «Salvini è quello che oggi cerca invece di tracciare una via, un’idea di Paese, e riesce a imporsi. Anche perché ha una caratteristica che nessun altro leader politico ha: unisce i ceti sociali, anziché dividerli. Per assurdo che possa sembrare, fa breccia nelle classi agiate come fra i meno abbienti».Fa breccia soprattutto in provincia. Dove il voto, in qualche caso plebiscitario, per la Lega, è il simbolo della rivolta dei territori abbandonati o nella migliore delle ipotesi snobbati dal potere centrale, contro lo stesso potere. Nessuno sembra ricordare che il simbolo di Alberto da Giussano con lo spadone è lo stesso di un partito che è stato al governo per dieci anni, e sono stati dieci anni in cui l’Italia non ha fatto altro che arrancare: unico Paese dell’eurozona ad aver archiviato il decennio con un -6,5 per cento nel prodotto procapite reale, mentre la burocrazia e i privilegi della politica esplodevano. Il miracolo di Salvini è stato quello di presentare il partito più vecchio del panorama politico italiano come la forza più nuova. Perfino del Movim ento 5 stelle, al quale ha rapidamente eroso i consensi. Ma andare da solo alle elezioni politiche è un’altra storia.«Con l’attuale legge elettorale», spiega Lorenzo Pregliasco di Youtrend, «bisogna superare per forza il 40 per cento per avere la maggioranza. Quella quota garantisce circa 320 seggi alla Camera e circa 160 al Senato. Con le percentuali di cui Salvini è accreditato oggi arriverebbe intorno ai 280 seggi alla Camera. Ma superare il 40 per cento non è facile, tutto dipende da quanto voto utile può pescare».Già, il voto utile. Può essere il segreto di Salvini? Alessandra Ghisleri non lo esclude, facendo però presente che prosciugare il bacino di Giorgia Meloni (e quello ancor più esiguo di Berlusconi o Toti) sarebbe un’impresa.Ma l’azzardo potrebbe anche funzionare, contando sul fatto che molti elettori di centrodestra sarebbero spinti a spostare i loro voti sul cavallo vincente. Non è forse successo così alle ultime Europee, dove la Lega ha attirato pressoché tutti i voti che dovevano andare alle formazioni di estrema destra, da Forza nuova a Casapound.Potrebbe funzionare, grazie anche alla formidabile capacità di affabulatore che Salvini ha scoperto in sé. Bisogna però fare in fretta. Ogni giorno perso non è «perso per l’Italia», come ama dire il capo leghista, ma è perso per la sua strategia. E qui c’è l’unico scoglio che ostacola la marcia trionfale salviniana: la determinazione del Movimento 5 stelle a far approvare il taglio del numero dei parlamentari prima dello scioglimento delle Camere. Una legge costituzionale, che non solo rischia di far chiudere tutte le finestre utili per il voto prima della fine del 2019, l’»anno bellissimo» (Conte dixit). Ma anche di allungare i tempi all’infinito: dopo la legge bisognerà ridisegnare i collegi e forse, insinua qualcuno, fare anche una nuova legge elettorale per evitare i pericoli di incostituzionalità. La riduzione del numero dei seggi sulla carta favorirebbe addirittura Salvini; in realtà per il suo disegno sarebbe un’autentica iattura. Perché dopo essere stato mesi a bagnomaria, e magari con nuove regole per andare alle urne, anche la strategia di andare da solo non sarebbe più praticabile.Ma anche se tutto andasse per il verso da lui auspicato, con una crisi rapidissima (e anche questo è da vedere) ed elezioni a ottobre, c’è sempre un’incognita. Avverte Diamanti: «Una cosa è votare per la Lega di Salvini, altra cosa è votare per Salvini. La storia insegna. Bisognerebbe ricordare che da Berlusconi in poi e fino a Renzi i vincitori annunciati hanno sempre fallito». Verissimo. Basterebbe ricordare la storia di Mario Monti. Aveva raggiunto il più alto grado di consenso forse mai registrato in epoca recente da un uomo di Stato. Ma quando si presentò alle elezioni come capo di un suo partito fu un disastro. E Pier Luigi Bersani, alle politiche del 2013, non era già dato come il mattatore assoluto? Sappiamo com’è andata a finire…