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 2019  agosto 10 Sabato calendario

Intervista a Salvatore Farina, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito

Instabilità regionali, minacce multiple. Una Difesa con una proiezione esterna e interna che deve fare i conti con un bilancio ridotto. Facciamo il punto con il generale Salvatore Farina, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Originario di Gallipoli, dove è nato nel 1957, ha ricoperto numerosi incarichi di vertice, compresa la guida della forza Nato in Kosovo ed è stato comandante del Joint Force Command di Brunssum (Olanda).
Come definisce l’apparato ai suoi ordini?
«È un’istituzione solida, con circa 98 mila effettivi. Di questi 3500 sono dislocati in operazioni in quindici Paesi, altri ottomila pronti ad ogni evenienza, seimila e 900 impegnati al fianco delle forze dell’ordine. Siamo cresciuti ed abbiamo imparato a muoverci tenendo un equilibro tra difficoltà di budget e necessità di avere uno standard di intervento di primordine».
Avete molte sfide, ve ne è una tra queste prioritaria?
«Dobbiamo ringiovanire i ranghi mantenendo però quanto acquisito fino a oggi. L’età media dei nostri militari (Graduati) è sui 38 anni, 11 mila sono oltre i 40. Per questo abbiamo presentato, in una mia audizione, alla Commissione Difesa il progetto “3+3”. Un giovane si arruola per 3 anni per poi, in alternativa, prolungare la ferma per altri 3 anni prima del transito in servizio permanente nell’Esercito o accedere alle Forze di Polizia o a nuove opportunità nel mondo del lavoro. Inoltre abbiamo avviato una pianificazione in modo che ogni soldato sia in grado di sapere cosa farà nei prossimi 2-3 anni, in operazioni o addestramento».
Quanto conta l’interazione con i partner atlantici?
«Agiamo in numerosi contesti multinazionali. In Kosovo abbiamo il comando, in Lettonia c’è la presenza avanzata di un reparto insieme a quelli Nato. Esiste un’integrazione continua dimostrata da numerose esercitazioni e missioni congiunte. C’è una stretta collaborazione nel comando/controllo così come anche nell’intelligence».
Sempre più spesso vengono inviate unità a esercitazioni multinazionali.
«Impariamo e insegniamo. Ci invitano e siamo apprezzati. Lo abbiamo visto di recente in Bulgaria/Romania (con la Folgore e la 46esima brigata aerea, ndr), quindi in Polonia, dove i nostri tank e l’artiglieria semovente dell’Ariete hanno conseguito risultati importanti. Un ridispiegamento sulla lunga distanza che ha richiesto uno sforzo logistico importante. In autunno andremo in Spagna».
È prevista anche una «sortita» in Qatar.
«Sì, con due finalità. Rinsaldiamo i rapporti con uno stato importante del Golfo e con il quale esiste una partnership. Abbiamo la possibilità di testare uomini, soldati, e mezzi in un teatro particolare, quello del deserto, con grandi spazi che permettono l’utilizzo di armamenti pesanti. Infatti saranno inviati tank e pezzi d’artiglieria. Come per altre situazioni proviamo le capacità di trasferimento del materiale a migliaia di chilometri».
La realtà internazionale è complessa, la vostra attenzione è rivolta a quali fronti?
«Sono tante le crisi, a Sud, nell’Est Europa, nel Mediterraneo. Serve una prevenzione in modo avanzato, pensiamo a unità con capacità speciali, per proteggerci ma anche per fornire supporto a Stati alleati e amici (tema di molte esercitazioni europee, ndr). Poi ci sono il contrasto dei mini-droni usati sia da eserciti che gruppi insurrezionali, lo scudo per parare i colpi della guerra cyber e tattiche contro ordigni non convenzionali (Farina è ingegnere elettrotecnico ed è stato a capo del 33° Battaglione di Guerra Elettronica, ndr)».
Libano 1982, l’Italia partecipa al contingente di pace. Cosa significò?
«Non è stata solo la nostra prima missione all’estero, ma l’inizio di un modo di operare che combina professionalità, empatia, rispetto dei civili. Ci siamo guadagnati l’ammirazione di tutti. Poi dalla metà degli anni ’90, con interventi in Somalia, Bosnia e Balcani, c’è stata una crescita collettiva».
Meglio l’esercito professionale o quello di leva?
«Nella maggior parte dell’Occidente gli eserciti sono composti da professionisti. È una conseguenza dei contesti operativi e delle sfide che impongono personale con una storia di anni e non di mesi. Il rapporto costo/efficacia porta a ritenere che questa sia la scelta più giusta ed efficace. Se dovessero cambiare le condizioni spetterà al Parlamento decidere un ritorno all’antico».
Cosa serve all’esercito?
«L’ammodernamento. Quindi il miglior equipaggiamento possibile a livello individuale: protezione dei soldati, visori notturni, comunicazioni. Poi ci sono i mezzi. A cominciare dalla nuova versione della blindo Centauro, l’aggiornamento del Lince (blindato che ha già salvato tante vite, ndr), gli elicotteri d’attacco, il futuro carro armato. Tutti sistemi sviluppati in Italia, prodotti d’avanguardia».
Dal 4 agosto 2008 portate avanti il piano Strade Sicure nelle città italiane, in supporto a polizia e carabinieri. Quanto è importante?
«Numeri, spesso poco noti, forniscono il valore dell’intervento: in 11 anni abbiamo partecipato all’arresto di 16 mila persone ed eseguito tre milioni di controlli. Uno sforzo che ha richiesto una programmazione di lungo respiro. Ma questo è solo uno dei tanti campi dove siamo stati chiamati ad agire e che rispecchia i miei motti: “Noi ci siamo sempre”,”Di più, insieme”».