la Repubblica, 10 agosto 2019
Il partito del non voto
OGGIXROMA – Il nome dell’alternativa al voto anticipato ci sarebbe: governo costituzionale. Legato alla riforma che taglia i parlamentari. I segnali pure. Gira nelle chat che contano un promemoria delle scadenze economiche dell’Italia per presentare i conti all’Europa ed evitare l’aumento dell’Iva. Matteo Renzi, l’altra sera in Toscana, ha detto che prima del voto viene la messa in sicurezza del bilancio e perciò un nuovo esecutivo in carica almeno fino alla fine dell’anno. Inevitabilmente con il M5S, il nemico di sempre. Contatti, rigorosamente informali, sono in corso. Non è sfuggito poi nei Palazzi il dettagliato programma di un futuribile governo dettato da padre Francesco Occhetta, influentissimo gesuita che si è appellato al mondo cattolico su questi punti: Finanziaria, riduzione del numero di deputati e senatori e una legge proporzionale. È una chiamata alle armi contro quello che potrebbe diventare il nemico comune: Matteo Salvini. In giro sono pochissimi quelli che scommetterebbero un euro sulla nascita di un altro esecutivo dopo Conte. La verità è che Salvini ha scelto i tempi giusti, ha portato a maturazione l’odio reciproco delle forze che dovrebbero unirsi contro di lui. Ma le cose possono cambiare in fretta e c’è tempo fino alla settimana che va dal 19 al 25 agosto. In quel periodo verrà calendarizzata al Senato la mozione di sfiducia della Lega contro il premier. Mancano dieci giorni e un fronte anti-voto sta prendendo corpo. Per mille motivi, diversi ma convergenti. C’è naturalmente chi vuole conservare la poltrona. Si guarda immediatamente alla pattuglia dei 5 stelle, nata sugli altari del 32 per cento, oggi ridotta alla cenere del 17 per cento delle Europee. Silvio Berlusconi ha minacciato Salvini: «Se vuoi un’alleanza devi dirmelo prima». Altrimenti i voti di Forza Italia sono a disposizione. Nel Pd Dario Franceschini non fa mistero di preferire una soluzione che metta insieme dem e grillini per arginare il pericolo leghista. I renziani, che vedrebbero ridotta ai minimi termini la loro pattuglia in caso di voto, sono usciti ieri allo scoperto con Gianni Dal Moro che ha ricordato le date della manovra economica concludendo: «Prima gli italiani dei leghisti». Ossia: no alle urne. Lo stesso Renzi, del resto, ha detto che occorre evitare lo «sghiribizzo» di Salvini che rischia di portare all’aumento dell’Iva. Eppoi c’è un argomento principe: se conviene a Salvini votare perché dovrebbe convenire agli altri? Non è un ragionamento su cui si può reggere una nuova maggioranza, ma è sufficiente per creare un’onda emotiva nella base dei partiti, dal Movimento 5 stelle al Pd, ai moderati di Forza Italia sulla base del pericolo vero tangibile di un Salvini pigliatutto, che governa da solo per 5 anni. Tra i grillini il meccanismo di sopravvivenza e di reazione al leader leghista si è messo in moto. Sotto traccia ma in maniera potente. Deputati e senatori hanno chiesto di essere ascoltati prima delle decisioni finali. Un M5S non dissidente come Steni Di Piazza ha lanciato l’idea di un esecutivo del «bene comune». Luigi Di Maio, per ora, vede solo la strada elettorale: «Non esiste nulla e basta». Il segretario dem Nicola Zingaretti idem, e lo ha spiegato a chi gli consiglia prudenza: «Fare un altro governo per cosa? Per intestarsi una legge di bilancio durissima?». Sono momenti difficili al Nazareno perché il dibattito è appena cominciato e le parole di Renzi hanno allarmato il leader. Franceschini ha chiamato Gentiloni per consigliare di pensarci bene prima di gridare «al voto al voto». Ci si son messi anche gli alleati di + Europa. «Se conviene a Salvini non conviene a noi», ha detto Marco Cappato. «Ho paura degli sviluppi putiniani», gli ha fatto eco Riccardo Magi. Il capogruppo dem al Senato, il renziano Marcucci, chiede che la mozione di sfiducia a Salvini sia messa in calendario insieme a quella a Conte. Sulla carta, un altro amo per un’intesa con il M5S. Naturalmente, un difficilissimo nuovo governo andrebbe vestito con l’abito buono lasciando nell’armadio le motivazioni più basse tipo poltrona e ricandidature. Allora lo smoking è questo: un esecutivo che porti a compimento la riforma costituzionale che taglia di 345 il numero dei parlamentari. Riforma cara ai grillini, in calendario in aula agli inizi di settembre. Se la legislatura finisce prima, la legge finisce nel cestino. Piccolo problema: finora il Pd ha sempre votato no al testo del governo. Ma in cambio il Movimento potrebbe dare al Pd la legge elettorale proporzionale (e questo allungherebbe la vita dell’esecutivo). In mezzo, più importanti, ci sono le misure economiche. Con questo vestito elegante ci si potrebbe presentare a Sergio Mattarella con una maggioranza dettata dal «percorso costituzionale». Tutta da costruire, in un clima sfavorevole. Ma c’è una certezza: dopo la sfiducia al Senato il capo dello Stato farà un giro di consultazioni. E il partito del non voto avrà un’altra finestra di tempo per riflettere.