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 2019  agosto 10 Sabato calendario

Pezzi sulla crisi

OGGIX
Verderami sul CorriereIn politica è sempre una questione di tempo, e il tempo in questa crisi non gioca a favore di Salvini: più passano i giorni, infatti, più i suoi avversari potrebbero realizzare le trappole nelle quali sperano di incastrarlo per evitare le elezioni anticipate. Perciò il leader della Lega preme sulla Casellati perché la mozione di sfiducia contro Conte venga calendarizzata già la prossima settimana. Se il voto del Senato dovesse slittare, alla Camera i grillini tenterebbero di sfruttare il tempo per far approvare con un blitz d’Aula la riforma che riduce il numero dei parlamentari: in quel caso il governo potrebbe anche cadere ma la legislatura sarebbe salva, perché le procedure costituzionali che si innescherebbero congelerebbero il ritorno alle urne almeno fino all’estate del prossimo anno.
È chiaro che per una simile operazione servirebbe un accordo politico su larga scala, che dovrebbe coinvolgere i Cinquestelle, il Pd e anche Forza Italia: sarebbero i prodromi di quella «maggioranza Ursula» – dal nome della neo eletta presidente della Commissione europea von der Leyen – di cui per primo parlò Renzi. Proprio l’ex segretario dem è tra i maggiori sostenitori del progetto: lui che immaginava di avere tempo in questa legislatura per i suoi disegni, è stato colto di sorpresa dalla mossa elettorale di Salvini. E cerca di reagire. Ma Zingaretti si mostra scettico all’idea, sostenendo che in prospettiva «noi non possiamo caricarci sulle spalle l’onere della prossima Finanziaria»: un valido argomento per non dire che preferirebbe stilare le liste elettorali del partito e così de-renzizzarlo.
Per avere il tempo necessario a fargli cambiare idea, i renziani al Senato hanno deciso di usare un’arma di Zingaretti per perdere del tempo: perciò chiederanno che prima della mozione di sfiducia leghista contro il premier venga votata la loro mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno. Il tempo è un fattore in questa fase sospesa della crisi, il cui esito appare scontato ma ancora non lo è. Perché non è del tutto chiaro quali sono le forze in campo. Forza Italia, per esempio, vuol sapere da Salvini se correranno in coalizione alle (eventuali) elezioni, e lo vogliono sapere prima di votare la mozione di sfiducia contro Conte. Tra i lealisti azzurri, alla Camera e al Senato, c’è aria di rivolta e si pretendono dalla Lega le garanzie chieste da Berlusconi: «Sottoscriviamo un accordo prima del voto». La Meloni invece è sicura e non da oggi che Salvini non potrà sfuggire all’intesa. Lo profetizzò a luglio: «Va da solo? Ma ’ndo va. Nemmeno alla Dc gli italiani hanno mai concesso la maggioranza assoluta». Allora si vota, se prima non si vota il taglio dei parlamentari. È una corsa contro il tempo.
Folli su Repubblica
Al punto in cui siamo la questione non è più se andremo alle elezioni, ma come ci si andrà. Ci sono un paio di punti fermi che aiutano a chiarire il quadro accanto a interrogativi ancora senza risposta. Il primo punto fermo è la posizione di Zingaretti e del Pd. Il segretario ha sempre detto di volere il voto anticipato senza subordinate. Le sue parole sono state talvolta messe in dubbio e si sono affacciate altre ipotesi (vedi Franceschini), tuttavia Zingaretti non ha cambiato parere. S’intende, la sua coerenza è figlia di una doppia convenienza: primo, cogliere i Cinque Stelle nel pieno della loro crisi; secondo, costruire le liste elettorali con persone di fiducia e così liberarsi del maggior numero possibile di renziani. Se Zingaretti, come si presume, sarà determinato anche nei prossimi giorni, non ci saranno combinazioni in Parlamento per sostenere governi “tecnici” o di scopo.
Naturalmente non c’è da credere che tutti i passaggi fino allo scioglimento delle Camere saranno lineari. C’è anzi da attendersi un gran lavorio dietro le quinte da parte di coloro che desiderano rinviare le urne. È un fronte trasversale che accumuna forze o gruppi anche molto ostili tra loro, alcuni dei quali dichiarano ufficialmente di non avere paura delle elezioni. Si va da segmenti dello stesso Pd (il mondo renziano, piuttosto frastornato) a Forza Italia, senza dubbio ai 5S e altre sigle: un piccolo esercito che non ha voglia di tornare a casa ovvero che teme la vittoria di un Salvini reclamante “pieni poteri”. Sulla carta non ci sono margini per tali operazioni se – torniamo al punto Zingaretti dice “no”. Vero è che il Quirinale, nel momento in cui entra in campo come arbitro, ha il dovere di verificare l’esistenza di altre maggioranze. E però allo stato delle cose s’intravede solo un desiderio legittimo ma confuso di prolungare la legislatura. L’altro punto fermo è quindi la volontà di Mattarella di non favorire giochi dilatori. La regola della democrazia prevede di dare la parola al popolo anche quando il vincitore rischia di essere chi non ci piace. Beninteso, nei due mesi della campagna elettorale il possibile vincitore dovrà spiegare all’elettorato il senso delle sue azioni e i riflessi certo non positivi sui conti pubblici e le prospettive della manovra economica. Tutto a posto, quindi? Non proprio. C’è un nodo molto delicato ancora irrisolto. Il governo Conte dimissionario può gestire le elezioni? Può farlo con Salvini, protagonista e aspirante premier, al ministero dell’Interno? La questione è ancora sullo sfondo ma scotta. È il tema istituzionale ma anche assai politico su cui Mattarella tiene le carte coperte. In passato i governi solo elettorali erano rari (vedi Fanfani nel 1987) e richiedevano la concordia dei partiti, almeno quelli della ex maggioranza. Non sarebbe certo questo il caso. Inoltre un esecutivo “per gestire le elezioni”, sia pure composto da figure amministrative (ad esempio, un prefetto al Viminale), dovrebbe comunque presentarsi alle Camere per essere bocciato prima dello scioglimento. E chi garantisc e che in quel caso non si crei una maggioranza spuria per votarlo e quindi impedire proprio il voto? Prepariamoci a giornate intense.