il Fatto Quotidiano, 9 agosto 2019
A Parigi riapre il bistrot di Verlaine, Mallarmé, Baudelaire, Flaubert & co
Dopo aver composto le sue Gymnopédies (1888), l’eclettico musicista Erik Satié andò a festeggiare con gli amici Stéphane Mallarmé e Paul Verlaine alla Maison de plaisirs Lapérouse, il locale più libidinoso, festaiolo e à la page della Belle Époque. Alla sera, a Parigi, si andava tutti lì. Tanto era rinomato il suo indirizzo – il 51 di Quai des Grands Augustins – che dandovisi appuntamento, si proferiva solo “al 51”, lasciando sottinteso il resto. Oggi, dopo un minuzioso lavoro di restauro e un cospicuo investimento da parte del re delle soirées parigine Benjamin Patou, riapre le sue porte.
Ridecorato dall’architetto d’interni Laura Gonzales, al bar e soprattutto ai celebri salotti – dove signorotti e politici si appartavano con le giovani cocotte, cui facevano dono di diamanti in cambio di qualche mezz’ora d’amore – è stato restituito tutto il fascino del tempo con una tappezzeria scarlatta; mentre Cordelia de Castellane, direttore creativo di Dior, ha curato il decor della tavola.
Celebre per essere il centro d’attrazione della Parigi di quel tempo, in realtà il locale nasce un secolo prima, nel 1766, quando Monsieur Lefèvre, un commerciante di bevande alla corte di Luigi XV, acquista l’immobile per farne una locanda. Tale fu la qualità della cantina e dei (allora pochi) piatti serviti, che in breve tempo la concorrenza venne sbaragliata e Lefèvre si persuase ad affittare agli ospiti di passaggio le stanze del primo piano: nascono così i famosi salottini segreti.
Ma nella seconda metà dell’Ottocento, mentre Pierre-Auguste Renoir finisce di dipingere Bal au Moulin de la Galette – manifesto di quella nuova socialità pubblica che sta nascendo grazie all’istituzione della domenica come giorno libero –, e viene inventato il primo frigorifero della storia, il locale parigino passa nelle mani di Jules Lapérouse, che ha un’idea ben precisa: cucina eccellente, servizio irreprensibile, arredo prestigioso. Per tutte queste caratteristiche diventerà il simbolo di quella decadenza bohémienne da Rive Gauche: un luogo di culto. Le cronache mondane danno tra i clienti più affezionati il poeta della modernità Charles Baudelaire, e poi ancora Victor Hugo, Émile Zola, Guy de Maupassant, Gustave Flaubert, George Sand.
Anche oggi la cucina punta a tornare all’eccellenza: il nuovo chef Jean-Pierre Vigato mira a riconquistare le tre stelle Michelin (che Lapérouse aveva ottenuto durante il trentennio 1933-1969) con piatti nobili e tradizionali quali la charlotte di patate di Noirmoutier con caviale o il gigot di angello da latte. Piatti di punta, storici del ristorante, sulla cui altissima qualità, negli anni ’30, si era espressa anche la grande Colette, nota per essere pure una golosa.
La scrittrice era una habituée: su quei tavolini ha infatti capitolato il romanzo La gatta (1933). Accanto a lei, sedevano l’amico Jean Cocteau che abbozzava disegni su fogli e foglietti, e ancora Marcel Proust che auscultava la mondanità poi raccontata nella sua Recherche. Ma si potevano incontrare anche Ernest Hemingway intento a sbronzarsi, o Wiston Churchill di fronte a un whisky. A renderlo irresistibile erano i salottini (oggi ovviamente tornati a splendere) dove desinare in completa privacy e dove si racconta che Serge Gainsbourg abbia invitato la bellissima Jane Birkin per il loro primo appuntamento.