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 2019  agosto 09 Venerdì calendario

Il Pil non cresce e Draghi prepara il bazooka

I segnali di indebolimento delle prospettive di crescita Ue nel secondo e terzo trimestre dell’anno sono una nuova fonte di preoccupazione per la Bce. Se poi si mette sul piatto anche «il perdurare di incertezze» legate a «fattori geopolitici, alla crescente minaccia del protezionismo e alle vulnerabilità nei mercati emergenti» che stanno «indebolendo il clima di fiducia, in particolare nel settore manifatturiero», già penalizzato, allora si capisce bene perché il bollettino economico della Bce evoca ancora una volta il bazooka di Mario Draghi pronto a sparare a settembre: «serve un grado significativo di stimolo». In altri tempi i Btp avrebbero avuto di che festeggiare. E invece le preoccupazioni per la crisi di governo hanno spinto lo spread a quota 209.
La rotta della Bce è più chiara che mai. Con una crescita che si è fermata a 0,2% per l’Eurozona nel secondo trimestre (+0,4% nel primo), un settore manifatturiero che rischia di andare «sempre peggio» secondo lo stesso Draghi e un’inflazione ad appena l’1,1%, il Bollettino economico non poteva che ribadire quanto anticipato dal presidente Bce a fine luglio. Anche il superindice Ocese, che fotografa una generale stabilizzazione, continua comunque a prospettare un rallentamento della dinamica economica degli Usa, della Germania e dell’area euro nel suo insieme (leggera frenata anche in Italia). Serve, dunque, «una politica monetaria altamente accomodante» ancora a lungo».
FRANCOFORTE IN CAMPO
E se le prospettive d’inflazione non daranno segni di risalita, il consiglio direttivo «è determinato a intervenire». Con un approccio «simmetrico» nel perseguire un’inflazione prossima al 2%, formula con cui l’Eurotower dice ai mercati che pur di far risalire l’inflazione tollererebbe di sforare quel livello finché necessario. I tassi resteranno sui livelli attuali, «o inferiori», almeno fino a metà 2020. e dunque gli investitori si aspettano un taglio dal -0,4% a -0,5% nella riunione del 12 settembre. Ma Francoforte è anche pronta a riaprire il Qe chiuso a dicembre. L’attesa degli analisti è per 15 miliardi al mese di acquisti come primo passo. È questo il risultato di un settore manifatturiero di fatto in recessione, trascinato al ribasso dalla contrazione tedesca e dalle difficoltà italiane. E non basta se i servizi, i consumi e l’occupazione riescono a tenere, se il quadro del commercio estero si fa sempre più pericoloso. È a rischio la crescita nel terzo trimestre, e non promette bene nemmeno l’inflazione. La Bce evoca i rischi globali, la Brexit, la Cina e la «crescente minaccia del protezionismo» – che sta spingendo sottozero i tassi ufficiali fissati dalle banche centrali. Donald Trump è tornato ieri a tuonare via Twitter contro la banca centrale Usa che con la sua politica dei tassi alti rafforza il dollaro «rendendo difficile ai nostri grandiosi gruppi manifatturieri, ai nostri produttori di auto e altri, di competere in un campo da gioco equo».