la Repubblica, 9 agosto 2019
L’M5s in crisi guarda al Pd
E ora non resta che prendere tempo ed esplorare nuovi possibili orizzonti. In casa 5 Stelle la situazione è precipitata ieri in serata nel giro di pochi minuti con la fine del governo annunciata da Matteo Salvini, con i gruppi parlamentari rimasti in balia degli eventi per praticamente tutta la giornata. Ora però almeno c’è una trincea dietro la quale non arretrare, magari provando a trovare possibili e oggi lontane e diverse convergenze in aula: ovvero il voto sulla riforma voluta dal Movimento che taglierebbe 345 parlamentari.
Il rilancio di Luigi Di Maio è la prima mossa a caldo subito dopo l’addio dell’ormai ex alleato. Il vicepremier ne ha parlato anche con il collega di partito e presidente della Camera Roberto Fico, chiedendo di anticipare la discussione rispetto alla data prevista, cioè il 9 settembre. Ci sarebbe anche un escamotage per farcela, ovvero una richiesta di calendarizzazione urgente in aula votata da un terzo dei parlamentari, numeri alla portata del M5S. Il valore del rilancio ha un doppio obiettivo. Il primo sarà quello di sondare il terreno per una eventuale maggioranza alternativa e il nome sul quale puntare c’è già: proprio Fico, personaggio spendibile a sinistra, specie nel Pd non renziano. Il secondo è strettamente elettorale, perché se il provvedimento venisse bocciato questo garantirebbe al M5S un’arma nella corsa al voto per attaccare tutti quanti, dai vecchi alleati della Lega al Pd.
Nel frattempo Di Maio parlando coi suoi è stato durissimo con l’altro vicepremier: «Ora c’è il rischio che aumenti l’Iva, Salvini ha preso in giro l’Italia su tutto, ha pensato ai suoi interessi e non al Paese. Anche sulla flat tax, ha rotto perché sapeva benissimo di non poterla fare». Gira anche la voce, sempre tornando al tema del taglio dei parlamentari, che il leader leghista avesse proposto a Giuseppe Conte di rimandare la discussione in cambio di una pacificazione tra (ex) alleati. «Piuttosto mi do fuoco», la replica di Di Maio.
Sono state e saranno ore concitate, poi, perché appare chiaro come la leadership del Movimento sia comunque offuscata come mai in passato. La critica principale che gli viene mossa da tempo è quella del mancato dialogo con colleghi di partito e di governo. Oltretutto davanti gli si pone un nodo di non poco conto da sciogliere. Se si tornerà al voto mezzo gruppo dirigente del M5S, con le regole attuali interne del limite di due mandati, non può essere ricandidato. Di Maio in primis, che al massimo potrebbe correre da candidato premier.
Quest’ultimo punto ha giocato un ruolo centrale in tutta la vicenda. L’elenco di membri del governo e parlamentari che, terminando la legislatura, concluderebbero la propria carriera politica nelle istituzioni è bello lungo: oltre al vicepremier, i ministri Alfonso Bonafede, Riccardo Fraccaro, Danilo Toninelli, Giulia Grillo, Barbara Lezzi. Stesso discorso per Fico. E poi sottosegretari, presidenti di commissione e così via. Oltre a un esercito di peones che hanno vinto il loro biglietto della lotteria un anno e mezzo fa e che, con un Movimento in crisi di consensi, dovrebbero sperare in un difficile secondo miracolo. Come ovviare? Non è in agenda, ma potrebbe venire rispolverata una proposta lanciata mesi fa da Alessandro Di Battista. Ovvero, in caso di chiusura anticipata della legislatura, non considerare nel conteggio questo secondo mandato. Abbonarlo insomma, e del resto la trovata del “mandato zero” per i consiglieri comunali era servito proprio per saggiare il terreno della base. Pure questa sarebbe però una deroga ad uno dei principi cardine del Movimento, l’ennesima. Dagli ambienti vicini al capo politico si fa filtrare la voce di un suo incontro «costruttivo» avvenuto in questi giorni proprio con “Dibba”, il quale sarebbe pronto a fare campagna elettorale a fianco di Di Maio. Voci, però. La realtà – invece, come detto – è che lo scontento nei suoi confronti è alto e la fine del governo giallo-verde può portare con sé altri cambiamenti oggi difficili da prevedere.