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 2019  agosto 09 Venerdì calendario

In morte di Fabrizio Saccomanni

Ancora mercoledì Fabrizio Saccomanni era al suo posto, a presiedere il consiglio di Unicredit e poi a illustrare i conti ai giornalisti, salutati parlando di calcio, tifoso com’era della Lazio. Ieri un malore sugli scogli della Gallura gli è stato fatale.
Quella da banchiere era la sua nuova vita professionale, dopo oltre trent’anni in Banca d’Italia e uno da ministro dell’Economia nel governo di Enrico Letta, da aprile 2013 a febbraio 2014, dando un contributo determinante alla tenuta dei conti. Un autentico profilo da grand commis, quello di Saccomanni, 76enne banchiere centrale ed economista, romano di nascita (il 22 novembre del 1942) e milanese di formazione, con laurea in Bocconi. Nel 1967 entra nella Banca d’Italia di Guido Carli, con tante esperienze internazionali: specializzazione a Princeton, poi cinque anni al Fmi a Washington. Al rientro in Italia gestì due crisi valutarie della lira, la nascita dell’euro e l’adesione dell’Italia. Quindi gli incarichi in Europa (Banca dei regolamenti internazionali, Banca centrale europea, Unione europea). Nel 2002 scrisse il libro «Tigri globali e domatori nazionali» in cui sottolineava come non si possano affrontare problemi globali in un’ottica nazionale e di breve termine. Un tema ripreso in «Crepe nel sistema», uscito del 2018.
Dal 2003 al 2006 fu vicepresidente della banca pubblica Bers, fino a quando Draghi non lo richiamò come dg a Palazzo Koch. Appassionato di lirica, da dicembre era presidente della Filarmonica della Scala.
In Unicredit era arrivato ad aprile 2018, dopo cinque anni da professore all’università romana Luiss Guido Carli. Alla banca guidata dal francese Jean Pierre Mustier serviva una testa italiana autorevole sui mercati e con i regolatori bancari (Banca centrale europea) e politici (Berlino) e che fosse di «grande stimolo e praticamente quotidiano» al management, come ha ricordato ieri Mustier definendo la scomparsa «una perdita per l’intero Paese», mentre il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ne ha ricordato «gli orizzonti internazionali, il grande senso dello Stato».
Fin dall’inizio Saccomanni interpretò questo ruolo: come quando a settembre a Cernobbio – era ospite fisso del forum Ambrosetti – smontò le voci di fusione con la francese Société Générale: «Non c’è nulla», disse con un sorriso ironico.
L’ironia è uno dei tratti che gli amici ricorderanno. Per contestare un giudizio dell’«Economist» che paragonava la Ue a presidenza italiana a un autobus guidato dai fratelli Marx, replicò con una spiritosa lettera firmata con il nome dei tre comici. Tuttavia l’amarezza fu forte quando nel 2011 non divenne governatore perché l’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, gli preferì Ignazio Visco come successore di Mario Draghi, che invece lo sosteneva in quanto dg: «Un’ingiustizia che non credevo di meritare».
A sua volta ministro nel 2013, Saccomanni si trovò a fronteggiare soprattutto il caso Montepaschi. Era la fase della riscrittura delle regole europee sulle banche, che vide Saccomanni e BankItalia critici ma soccombenti. «La prima cosa che si nota è il grado di pervasività delle regole», disse al «Corriere» nella sua prima intervista da presidente di Unicredit. Di recente, su «La Stampa», ha rivendicato: «Lo svolgersi delle crisi ha dimostrato che il nostro approccio era migliore. Una soluzione all’americana con la possibilità di intervento preventivo nelle crisi bancarie sarebbe un passo molto positivo».