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 2019  agosto 09 Venerdì calendario

Quattordici mesi di governo

Era tutto scritto, fin dall’inizio. Aprile dell’anno scorso, il governo del cambiamento non è ancora nato e anzi non si sa nemmeno che tipo di maggioranza mettere su. Il Movimento 5 Stelle affida a Giacinto Della Cananea il compito di trovare le possibili convergenze con gli altri partiti. Il professore fatica non poco a trovare punti di contatto tra i programmi di Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che fino a poche settimane prima se le sono date di santa ragione in campagna elettorale. In compenso scolpisce questa frase nella versione finale del suo documento: «Vi sono divergenze che derivano da diverse, se non opposte, concezioni della vita associata e di ordine morale». Due visioni del mondo contrapposte che però, poche settimane dopo, si trasformeranno in un contratto e poi in un’alleanza di governo. Dando così il via a questi 14 mesi vissuti pericolosamente, tra scontri, sospetti, liti e tensioni. Mai una gioia, insomma.
Il primo scontro
Il primo episodio vero arriva dopo un mese e spiccioli di governo con il decreto «dignità», nome scelto da Luigi Di Maio per dare una stretta ai contratti a termine. La Lega parla di effetti negativi per gli imprenditori, la sua storica base elettorale. Ma è costretta a ingoiare il rospo visto che il Movimento è ancora fortissimo. E comincia a lavorare per smontare la riforma. È un segnale importante. Perché l’economia resta il terreno sul quale lo scontro tra i due partiti è magari meno scenografico ma in realtà più profondo, radicale. E porterà più avanti alla fotografia perfetta della teoria dei due governi, quella scattata dopo l’approvazione della legge di Bilancio: da una parte Di Maio con la scritta «Quota 100» e «Reddito di cittadinanza», dall’altra Salvini solo con la scritta «Quota 100». L’istantanea di un braccio di ferro durato mesi con Salvini che dice no «ai soldi per stare sul divano» e Di Maio che moltiplica le dirette Facebook per ripetere «mai condoni», mandando però giù la pace fiscale.
Poche settimane dopo il «decreto dignità», arriva il crollo del ponte di Genova con il Movimento che il giorno stesso parte alla carica per la revoca delle concessioni ad Autostrade. Anche qui la Lega frena, e anche qui sono scintille. Ma è sull’immigrazione che la tensione tra i due governi diventa scontro in campo aperto. Salvini è per la «chiusura dei porti» e di fatto commissaria i due ministri M5S Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, che fin da allora scalano le posizioni alla voce rimpasto.
La chiave nei sondaggi
È in questo momento che nei sondaggi la Lega comincia a mangiarsi il Movimento. Lo sanno sia Salvini sia Di Maio. E infatti da allora in poi lo scontro tra gli alleati diventa un appuntamento fisso, quotidiano. Cambia il pretesto, non il motivo che c’è dietro. Si litiga sull’Ilva di Taranto, sulla legittima difesa, sulle Olimpiadi invernali a Torino oppure a Milano e Cortina, sul «Salva Roma», che dovrebbe alleggerire il debito della Capitale, con Salvini che mette più volte nel mirino la sindaca Virginia Raggi. Si litiga sui vaccini, sulla cannabis, sui bambini extra comunitari della scuola di Lodi esclusi dalla mensa, sui presunti fondi russi alla Lega. Si discute di tutto, perché a essere in discussione sono i rapporti di forza. È per questo che la lista è infinita. C’è però un solo tema che ha spaccato la maggioranza dal primo all’ultimo giorno, ed è proprio quella Tav che ha fatto partire i titoli di coda. Nella stesura del contratto di governo quel paragrafo viene rivisto più volte, alla fine ci si rifugia in calcio d’angolo con una formulazione ambigua. In gioco c’erano proprio le due visioni del mondo opposte del professor Della Cananea. «Vedrete, il governo cadrà sulla Tav», diceva Silvio Berlusconi. Era il novembre dell’anno scorso. E lui nel ramo una certa esperienza ce l’ha.