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 2019  agosto 09 Venerdì calendario

Conte non si dimette. Aspetta la sfiducia

Non se lo aspettava, si sente tradito, non aveva percepito la velocità dell’escalation della crisi. Per giunta nel giorno del suo compleanno, quando aveva programmato una conferenza stampa di saluto con i cronisti, prima della pausa estiva, dunque ancora assolutamente fiducioso di poter andar avanti.
La giornata più amara di Giuseppe Conte – entrato a Palazzo Chigi 14 mesi fa con l’abito dell’«avvocato del popolo» – inizia con un colloquio con il capo dello Stato e termina con una dichiarazione di Matteo Salvini che mette fine al suo governo, proprio alla fine di un faccia a faccia tesissimo.
«Io non mi dimetto, se vuoi presenta una mozione di sfiducia e portala in Parlamento». Nel pomeriggio è già un colloquio molto teso e duro quello fra Matteo Salvini e Giuseppe Conte, due posizioni non solo ormai inconciliabili, ma divise anche nel metodo con cui procedere.
Poco prima delle 23 Conte sente il bisogno di ribadire in pubbblico, con orgoglio, a Palazzo Chigi, con una breve ma sofferta dichiarazione, quando ha già detto in privato a Salvini: «Ho già chiarito che farò in modo che questa crisi da noi innescata sia la più trasparente della storia della vita repubblicana». Insomma il ministro dell’Interno dovrà metterci la faccia, «da senatore». Conte non ha alcuna intenzione di fare il primo passo e di dimettersi, contatterà i presidenti del Parlamento con i tempi «che non decide Salvini» e poi dovrà essere il leader della Lega nelle Aule del Parlamento ad assumersi la responsabilità di liquidare l’esecutivo aprendo una crisi al buio, dagli esiti che ad oggi non escludono nemmeno un governo di transizione per varare la manovra economica e poi portare il Paese al voto. Ed è proprio questo che il leader della Lega di più teme, andare alle urne disarcionato dal Viminale.
Di fronte alle telecamere Conte – in una dichiarazione a tratti molto drammatizzata – fa anche una difesa del suo governo, si toglie qualche sassolino dalle scarpe, rivendicando che il suo non era un esecutivo «in spiaggia», ma che anzi ha sempre lavorato con dedizione, e «non posso permettere che si svilisca il lavoro e il ruolo con cui questo governo ha sempre, quotidianamente, operato. Questo governo ha sempre parlato poco e lavorato molto, non accetterò che venga sminuita la dedizione e la passione con cui ministri, viceministri, sottosegretari, insieme a me, hanno lavorato».
È una giornata molto amara per Conte, anche perché nel colloquio con il capo dello Stato i rilievi del presidente della Repubblica coinvolgono in prima persona la sua figura, che non ha saputo vedere e di conseguenza pesare tutte le criticità della sua maggioranza e del passaggio politico legato alla Tav. Le richieste di Mattarella, che ha sollecitato il colloquio, sono state imperniate propio sullo stato di estremo sfilacciamento che progressivamente ha logorato la tenuta dell’esecutivo.
Conte dunque resta fermo alla posizione espressa in Senato nel giorno del caso Russia, il governo cade solo con una crisi parlamentare, non semplici dimissioni o un atto unilaterale. «Ho preannunciato che dal Parlamento ho ricevuto la fiducia e in Parlamento sarei tornato ove fossero maturate le condizioni per una cessazione anticipata dall’incarico. Leggo nella nota di Salvini l’invito ai parlamentari a tornare a riunirsi quanto prima. Non spetta al ministro dell’Interno convocare le Camere né decidere i tempi della crisi politica nella quale intervengono ben altre figure istituzionali».
Ma il punto cruciale in questo passaggio è un altro: «Salvini spiegherà le ragioni che lo inducono a interrompere l’esperienza di governo». In altre parole: deve essere Salvini ad assumersi pubblicamente la responsabilità di liquidare il governo.