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 2019  agosto 09 Venerdì calendario

salvini vuole le elezioni a ottobre

Quattordici mesi possono bastare. Il governo gialloverde si ferma qui, implode a Ferragosto. Matteo Salvini stacca la spina all’esecutivo, lo dice in faccia al presidente del Consiglio Giuseppe Conte nell’ora e passa di colloquio fitto e teso a Palazzo Chigi: «Si è rotto il rapporto di fiducia. Non ci sono più le condizioni per andare avanti, col voto sulla Tav abbiamo preso atto che non è più possibile fare le riforme e io voglio capitalizzare il consenso».
Pretende le urne, il vicepremier, le vuole subito. Almeno in una domenica di ottobre (tra il 13 e il 27). La Lega si prepara alla corsa in solitaria per tentare il colpaccio dell’autosufficienza, insegue il miraggio del monocolore Salvini, della manovra a sua immagine e somiglianza. Tutta in deficit, flat tax e pace fiscale 2. Intanto però lo strappo apre le ostilità elettorali con gli ormai ex alleati 5 stelle sui tempi del dibattito parlamentare e quindi delle urne Salvini inizia la giornata davanti al mare di Sabaudia, poi si sposta al Viminale e decide di aprire la crisi con una nota della Lega, a metà giornata: «Inutile andare avanti fra no, rinvii, blocchi e litigi quotidiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, per noi l’unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni». È la parola fine. Conte, dopo essere stato ricevuto a sua volta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel faccia a faccia col suo vicepremier abbozza a una ricucitura: «Cerchiamo di ragionare, troviamo le condizioni per restare insieme». Ma capisce subito che il suo ospite ha già la testa ai comizi della campagna elettorale partita ieri sera a Pescara e che proseguirà da oggi in tutto il Mezzogiorno, a caccia dei voti a 5 stelle. «Non ha senso perdere altro tempo, chiudiamola qui e ridiamo la parola agli italiani nelle prossime settimane», è il commiato del ministro dell’Interno al premier. E invece no, gli obietta il professore Conte: «Non sarò io a dimettermi, se vuoi la crisi passiamo prima dal Parlamento». Il presidente del Consiglio intende fare quel che aveva preannunciato in occasione dell’informativa al Senato su “Moscopoli": presentarsi in aula per verificare se davvero è venuta meno la fiducia. Ma per farlo occorreranno alcuni giorni, non prima di Ferragosto, è la tesi. Salvini si indispone. Si passi pure dall’aula, ma la settimana prossima. «I parlamentari alzino il culo e vengano in aula se serve anche la settimana prossima, perché milioni di italiani lavorano anche la settimana prossima: giustifichino il loro stipendio, noi pronti da lunedì», brutalizzerà dal palco di Pescara. Niente barricate però: se si tratterà di aspettare qualche giorno per “parlamentarizzare” la crisi, va bene pure, spiega un ministro leghista, purché non si vada oltre i termini (da 45 a 70 giorni) che consentiranno di andare al voto a ottobre.
Conte e Salvini si salutano alle 18 ed è un addio. Il presidente della Camera Roberto Fico sale anche lui al Colle. Di Maio si sfoga su Fb: «La Lega ha preso in giro gli italiani. Prima del voto approviamo (il 9 settembre, ndr) la riforma che taglia 345 parlamentari, poi siamo pronti». Il leghista si sfoga coi suoi: «Chiaro, vogliono restare attaccati alle poltrone, possono farlo solo facendo sopravvivere questo cadavere di governo o magari dando vita a un governo balneare sostenuto dagli Scilipoti». La manovra sospetta è che si voglia scavallare settembre per strappare altri sei mesi, necessari dopo l’eventuale varo della riforma costituzionale. È un no secco.
Da Pescara Salvini sarà ancora più duro: «Questo Paese ha bisogno di regole, ordine e disciplina», dice dando sfogo a tutto il piglio autoritario che ha dentro. «Piuttosto che tenere fermo il Paese diamo la parola agli italiani». E niente alleanza di centrodestra: «Non mi interessa tornare al vecchio, se devo mettermi in gioco con un’idea di futuro lo faccio da solo e a testa alta. Poi – conclude – potremo scegliere dei compagni di viaggio». Ma solo dopo il voto. Il meglio lo dà sempre sugli immigrati. «Chi rompe va a casa, qui di rompic.. ne abbiamo già troppi». Un fiume di rabbia, interrotto solo dal colpo di teatro finale, le lacrime di commozione con sui chiude parlando dei figli. Da oggi il “beach tour” diventa campagna elettorale.