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 2019  agosto 08 Giovedì calendario

Egon Krenz, ultimo premier tedesco orientale prima del crollo del Muro, finì in quaranta metri quadrati

Lo trattarono da traditore, colpevole della fine, i compagni nella Ddr, quando cadde il Muro. Egon Krenz, per anni considerato il delfino di Erich Honecker, restò al potere appena 47 giorni. Trent’anni dopo, l’applaudono. Egon cercò di salvare la Germania dell’Est, e lui si considera quasi un held, un eroe. La nostalgia gioca brutti scherzi. È uscito in luglio il suo libro di memorie, Wir und die Russen, noi e i russi (Edition Ost, 16,99 euro), un tascabile. A Mosca si è sentito sempre a casa, ieri e oggi. «Senza i russi la Ddr non avrebbe resistito per 40 anni», ha dichiarato alla presentazione del libro.Il 18 ottobre di trent’anni fa, Egon Krenz, 52 anni, fu eletto per acclamazione. Ma la scelta delude, e giunge in ritardo, il suo nome indica piuttosto una continuazione che la voglia di un cambio radicale. Per la prima volta, Neues Deutschland, il giornale ufficiale del partito, comincia a pubblicare su più pagine le critiche dei lettori scontenti, che non hanno timore di firmare con il proprio nome. È l’inizio della fine. «Quella notte, il nove novembre dell’89, ebbi paura», confessa, «ma è importante che sia stato versato spumante e non sangue». Forse la Ddr scomparsa era meglio di quella che è diventata oggi, dove trionfano i razzisti e i fascisti dell’AfD.
Nel febbraio del ’90, cercai Egon Krenz, il capo della Ddr, il giorno che il muro crollò. Andai all’ufficio stampa dell’Est, nella Mohrenstrasse, e chiesi il suo indirizzo: so che abita nella Majakowski Strasse, ma non conosco il numero. «Egon Krenz? Chi è? Per noi è una privat person». Spietati e bugiardi quelli dell’ufficio stampa. «Non scherzate». Uno si vergognò o ebbe pietà di me. «Non Majakowski Strasse, ma Majakowski Ring», mi avvertì. Ma non mi disse il numero. Avrei bussato a tutte le porte.
Andai nel quartiere della Nomenklatura, villette come nelle periferia italiana, della media borghesia, disposte a formare un cerchio. Una mattinata nebbiosa, i giardini coperti di neve. E la fortuna mi aiutò. Un solo uomo era intento a spalare la neve davanti al suo ingresso. Era lui, Krenz. Accettò di parlare con me, ma volle essere pagato.
«Sono il primo disoccupato della Ddr», si scusò con autoironia. Non volle molto, e non aprì la busta con i preziosi deutsche mark dell’Ovest. Si fidava. Mi chiese di togliermi le scarpe sull’ingresso, per non sporcare la moquette bianca con peli alti una ventina di centimetri che copriva l’intero salone. Un prato di lana. «Ora a comandare qui è mia moglie Erika».
Gli chiesi di raccontarmi quel giorno fatidico. Schabowski, durante la conferenza stampa, annunciò che i tedeschi dell’Est potevano andare all’Ovest e poi tornare indietro. Non occorreva più fuggire. Riccardo Ehrman, il corrispondente dell’Ansa da Berlino Est, chiese: anche i berlinesi? Schawboski fu preso alla sprovvista, ja, nein, ja, sì, confermò, anche loro. Il muro non aveva più ragione di esistere. Come andò realmente?, gli chiesi. «Quell’idiota di Schabowski ha rovinato tutto. Si immagini se mi sarei lasciato sfuggire quello storico evento. Dopo qualche giorno sarei andato ad aprire il muro con una cerimonia ufficiale. Io che faccio cadere la barriera… e invece Schabowski si è impappinato, e tutto è accaduto nel caos. Che peccato».
Dopo, Krenz finì in carcere, la villetta fu espropriata. Tornato in libertà, cercò di tenersi a galla, agente immobiliare improvvisato per un amico che dirigeva un’agenzia, poi rappresentante di protesi ortopediche e di calze elastiche in Russia. Lui e Erika (scomparsa di recente) si ritirarono in un appartamento di 40 metri quadrati, a Dierhagen, sul Baltico, dove Krenz continua a vivere. «Noi abbiamo fatto errori», ammette oggi, «anche compiuto peccati». I vecchi compagni lo applaudono. Trent’anni fa, non sporcai di neve e fango la moquette di Egon. Mi avrà detto la verità? La storia l’ha sfiorato, lui non ha fatto in tempo ad afferrarla.