Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2019
Germania, la produzione industriale è in crisi
Si teme il peggio per le sorti della locomotiva economica dell’Europa: una recessione tecnica in Germania nel secondo e terzo trimestre 2019 che può far deragliare ulteriormente la crescita già in netto rallentamento del Pil europeo. La produzione industriale tedesca è scesa ieri più del previsto in giugno a -1,5% rispetto al mese precedente (contro un consensus di -0,4/-0,5) e con il calo anno su anno (-5,2%) che è il peggiore degli ultimi dieci anni, dai tempi della ripresa dopo la Grande recessione. Questa cattiva sorpresa, che ha cancellato d’un colpo la notizia positiva degli ordinativi dell’industria tedesca cresciuti più del previsto a giugno su base mensile (2,5% a fronte di stime dello 0,5%) si è sommata ieri all’indice sulle aspettative di produzione da parte delle imprese calcolato dall’Ifo, sceso a -5,7 a luglio da -2,1 toccando il minimo dal novembre 2012. Il tutto ha rafforzato le previsioni, tra le quali quelle della Bundesbank, di un Pil tedesco che si contrae nel secondo trimestre dell’anno, fino a -0,2%: il dato preliminare sarà reso noto la prossima settimana, il 14 agosto.
«Come evidenziato dai più recenti sondaggi Ifo e indicatori, e dato il contesto di incertezze macro, l’economia in Germania è stata più debole e probabilmente si è contratta nel secondo trimestre dell’anno – ha detto ieri in una conference call il direttore finanziario di Commerzbank Stephan Engels (si veda articolo a pag. 12) -. I servizi hanno tenuto, sostenuti dalla domanda interna. Ma alcuni settori dell’industria manifatturiera più orientata all’export sono stati colpiti dal calo della domanda esterna».
Il cedimento continuo dell’industria manifatturiera tedesca, esposta fortemente all’export e alle incertezze dello scenario macroeconomico mondiale e anche nello specifico del rallentamento della crescita cinese, rischia di espandersi ai servizi e compromettere così l’intero quadro. La domanda interna è sostenuta ma la tendenza, in un clima di crescente incertezza, resta quella di un accumulo di risparmi piuttosto che di un aumento degli investimenti: questa è una delle principali preoccupazioni della Bce che il prossimo mese è pronta a lanciare un nuovo “whatever it takes” di misure di ulteriore allentamento monetario dal taglio dei tassi al QE per contrastare i venti negativi sulla crescita europea e dunque sull’inflazione.
La Germania sta lanciando segnali peggiori del previsto, e con qualche crepa che inizia a vedersi anche nel mercato del lavoro (1000 disoccupati in più in luglio, il secondo aumento in tre mesi anche se micro rispetto alla disoccupazione al minimo storico del 5%), finora tonico, in un momento di esasperazione della guerra commerciale tra Usa e Cina: e con il rischio di un attacco a seguire di Donald Trump contro l’industria auto tedesca con dazi ad hoc, e il pericolo sempre più concreto di una no-deal Brexit.
«Le aspettative di una produzione in contrazione hanno preso piede nell’industria tedesca», ha ammonito ieri la Business Survey dell’Ifo. «Al momento, le prospettive per l’industria tedesca sono tutt’altro che rosee», secondo il capo economista dell’Ifo Robert Lehmann, in quanto «sempre più imprese stanno annunciando che intendono tagliare la produzione nel prossimo trimestre». Il ministero dell’Economia tedesco ha diffuso una nota ieri, sostenendo che la Germania resta in rallentamento, con una performance dell’industria manifatturiera «deludente» nel secondo trimestre dovuta principalmente alla produzione di auto e macchinari.
Ma è su un altro ministero che si puntano i riflettori adesso, quello delle Finanze. Il ministro Olaf Scholz ha ribadito di recente che la Germania non è in crisi: e non si schioda dal suo obiettivo di portare il debito/Pil sotto la soglia del 60% quest’anno a colpi di avanzi primari mentre sale il coro delle voci, non solo in Europa ma anche in casa, a favore di una politica fiscale di maggior stimolo all’economia. Scholz evidentemente non vede la necessità di attivare speciali programmi si spesa anti-crisi. Il surplus di bilancio atteso quest’anno orbita attorno allo 0,8% nonostante stimoli fiscali nell’ordine dei 20 miliardi. «La Germania ha circa un 2% di Pil di spazio di manovra fiscale a disposizione, che equivale a un intervento espansivo tra i 45 e i 50 miliardi pari all’1,5% del Pil – ha calcolato Fabio Balboni, senior economist di HSBC -. C’è chi sostiene che la regola del “freno sul debito” non consente alla Germania di fare di più: ma è il deficit strutturale che non può eccedere lo 0,35% del Pil: nel rispetto di questo limite, lo Stato federale può spendere altri 30 miliardi quest’anno». Il ministero delle Finanze ieri ha emesso 4 miliardi di Bobl, titoli di Stato a cinque anni, a un rendimento medio di -0,79%: lo Stato viene pagato per indebitarsi, un paradosso che equivale all’helicopter money per i privati cittadini.