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 2019  agosto 08 Giovedì calendario

Guttuso in Lombardia

Per avere idea della grandezza del Novecento basta guardare le opere di alcuni dei suoi pittori; c’è tutta, nel bene e nel male, quella grandezza, intendendo per essa la grandiosità degli eventi: due guerre mondiali con altrettanti penosissimi dopoguerra, l’avanzata delle forze del lavoro, le eterne, irrisolvibili agonie dei sud del mondo, l’emancipazione femminile, l’affermarsi del comunismo e il suo dissolversi, il problematico persistere del pensiero cristiano nel farsi e disfarsi di una società sempre più spinta al consumo e all’edonismo. C’è tutto questo e altro, nei pittori del secolo scorso. Renato Guttuso è certamente uno di questi. I suoi dipinti ci dicono che del suo/nostro secolo egli è stato un testimone che ha messo a servizio dell’arte un’idea di società, di politica, di estetica. Naturalmente, con una propria visione della storia e una propria sensibilità, che nel caso di Guttuso coincidono con il suo stile: preciso, riconoscibile, tenacemente eloquente in ogni dipinto, disegno, schizzo.
LA PRODUZIONE
Se ne ha riprova nel visitare, a Varese, la mostra che raccoglie alcune sue opere. Una mostra non vasta, ma significativa dell’intera produzione dell’artista, nata dalla passione di un collezionista per un singolo artista; un collezionista che ha voluto lasciare alla sua città tutto quanto egli è riuscito ad avere per sé del pittore che ha amato in modo esclusivo. Un caso raro, perché Francesco Pellin, questo il nome del collezionista, non ha raccolto quadri di pittori diversi o appartenenti a una scuola, a una corrente, a un’epoca, come di solito fanno i collezionisti, ma ha dedicato la sua ossessiva attenzione all’unico oggetto del suo desiderio: il genio artistico di Renato Guttuso, appunto. Venticinque quadri in tutto, questi in esposizione nei Musei civici di Villa Mirabello, a Varese. Ventuno ceduti in comodato dallo stesso collezionista alla città lombarda, quattro appartenenti ai familiari che li hanno ereditati. Venticinque quadri in cui si gusta (la sensualità del pittore è contagiosa) buona parte di quanto realizzato da Guttuso.
Naturalmente, c’è il ritratto del collezionista, divenuto un suo caro e stimato amico, e quello di sua moglie, la quale generosamente ha tenuto a dirmi Serena Contini, curatrice della mostra ha contribuito alla realizzazione dell’esposizione e del relativo catalogo. Guttuso visse buona parte della sua vita in quest’angolo di Lombardia, non lontano da Varese, a Velate, in quella che considerava la sua seconda casa, oltre che studio proficuamente alternativo a quello romano. Così ne scrisse: «È finita che la mia casa più amata ce l’ho in Lombardia, a Velate. Verso il Sacro Monte, sopra il Lago Maggiore, nel Varesotto la casa la ereditò Mimise, mia moglie, dai nonni materni. Andammo a Velate per vedere questa villa di campagna con l’intenzione di venderla Trovai che il posto era bello, il paesaggio completamente diverso da quello siciliano, così lontano dalle mie passioni, mi tranquillizzava, mi riconduceva a me stesso. Il paesaggio siciliano mi porta fuori di me, mi eccita Qui la gente mi piaceva, i rapporti umani erano buoni, semplici, puliti. E la villa ce la siamo tenuta, comprando anche la parte di mia suocera. Nelle stalle ho aperto uno studio dove posso dipingere i quadri di grande dimensione». Uno di questi, tra i più significativi, Spes contra spem il titolo, fa parte della mostra.
ALLEGORIA
È il celebre dipinto allegorico denso di particolari che raccontano la vita dell’autore. C’è la sua Sicilia, con i mostri di Villa Palagonia, una donna nuda, non giovanissima, affacciata a un balcone spalancato sul mare di Bagheria (il paese natale del pittore); alcuni suoi amici, compagni di strada, scrittori e politici; vi è raffigurato lui stesso accanto alla moglie Mimise, di fronte a una tela interamente dipinta di rosso; e ancora, un teschio antonelliano, una bambina che corre via dalla scena, un garofano, anch’esso rosso, in mano.
Un’altra opera esposta rappresenta un momento preciso nell’esistenza del pittore. Fu realizzata con inchiostro di china e acquarello, e con in mente certi schizzi di Goya. C’è sangue, corpi squartati, orribili segni di una violenza insensata e terrificante. Così ne scrisse Francesco Pellin: «Il giorno della strage di Bologna, il 2 agosto 1980, ero assieme al grande Maestro nel suo studio di Roma e, sull’onda delle prime notizie che arrivavano dai bollettini radio e televisivi, fortemente emozionato e colpito da questa nuova tragedia, il Maestro dipinse di getto un quadro che doveva restare a futura memoria per le nuove generazioni, dando per titolo: Il sonno della ragione genera mostri».
LE DONNE
E ci sono le donne, giovani e meno giovani (quelle preferite dal pittore); un suo autoritratto multiplo, l’eterna sigaretta tra le labbra; e una natura morta databile 1966, dove la cifra di Renato Guttuso canta con voce spiegata: tutto un mondo racchiuso in una tela in cui compaiono oggetti inanimati (una tenaglia, una bottiglia, tubetti di colore, un libro, una tazzina da caffè). Insomma, un racconto intimo, un umile ma emblematico deposito di ricordi. Nonostante la sua predilezione per il figurativo e pur tenendosi lontano dalle avanguardie, Guttuso fu sempre un pittore d’avanguardia. Fece avanguardia con il suo personalissimo realismo, divenuto col tempo vivissimo espressionismo: sociale, esistenziale, della memoria, allegorico.