Il Messaggero, 8 agosto 2019
L’oro sfonda i 1.500 dollari l’oncia
Meglio correre ai ripari. Lontano dal rischio e verso portafogli più diversificati tra titoli di Stato, obbligazioni corporate di qualità (investment grade), oro, yen giapponesi e franchi svizzeri. I mercati hanno capito subito, dopo la mossa a sorpresa di Pechino con tanto di valutazione dello yuan, che il nuovo affondo sui dazi di Donald Trump rischia di innescare una vera e propria guerra valutaria. Certo, ci sono molte differenze con il precedente del 2015, l’ultima volta che Pechino è intervenuta a gamba tesa sullo yuan. Ma anche se Fed e Bce sono pronte a usare l’artiglieria per scongiurare una brusca frenata dell’economia mondiale, ci sono già tutti i segnali di una recessione imminente.
L’ALLARME
Da Pimco a Morgan Stanley, da Nomura a Natixis, evocano un rischio in salita di stop della macchina globale. E un po’ tutti snocciolano le strategie di difesa per affrontare l’escalation di incertezza aggravata anche dall’incognita Brexit. Così, mentre il petrolio è sceso del 2% l’oro è volato oltre la soglia psicologica dei 1.500 dollari l’oncia sui livelli di aprile 2013, ma lontano dai 1.900 del 2011, spingendo il rialzo da inizio anno oltre 17%. Un modo, per gli investitori, per puntare su un asset che conserva valore nel momento in cui i governi puntano a valute più deboli per essere maggiormente competitivi. Dopo il timido taglio dei tassi deciso dalla Fed il 31 luglio, è ora più probabile una politica più aggressiva da parte di Jerome Powell, ieri attaccato di nuovo frontalmente da Donald Trump. In questo contesto il metallo giallo resta un approdo per gli investitori che alleggeriscono il portafoglio dagli asset a rischio e mantengono un approccio diversificato rispetto ai titoli di Stato costretti a una brusca contrazione dei rendimenti. I T-Bond sono scesi sotto l’1,6%, e i tassi reali Usa decennali stanno tornando verso lo zero (allo 0,16% contro l’1% di un anno fa) gettando un’ombra sulla sostenibilità del rally del dollaro. Mentre il Bund tedesco è sceso al record di -0,586% con i Btp all’1,4%. Tanto che la curva dei rendimenti tedeschi comincia ad assomigliare a quella Usa, prossima alla tipica inversione pre-recessione (con i titoli a breve che pagano più di quelli a lungo). A questo punto l’oro potrebbe spingersi anche oltre visto che l’indebolimento dello yuan può dare nuovo slancio alla domanda di oro fisico in Cina, tra i principali consumatori al mondo. La divisa locale rende del resto più attrattivo il metallo giallo che, espresso in dollari, garantisce anche l’esposizione al biglietto verde.