la Repubblica, 8 agosto 2019
Cronaca della seduta che sta spaccando il governo
«Toccava prima a me!», s’inalbera il sottosegretario M5S alla presidenza del Consiglio Vincenzo Santangelo, e guarda inorridito il suo compagno di banco, il viceministro leghista all’economia Massimo Garavaglia. Garavaglia non ha più voglia di fingere. Bofonchia qualcosa, poi sbatte la mano sul banco. Un gesto che dice più di tanti editoriali. Il governo si è rotto.
Il Senato è una nave in tempesta, quando alle 11 la presidente di turno, la pd Anna Rossomando, dà la parola ai rappresentanti dell’esecutivo per esprimere il loro parere sulle mozioni Tav. La concede per primo a Garavaglia, mentre si era prenotato Santangelo. «La posizione della Lega è nota», annuncia secco il leghista. «Vota a favore della Tav e contro chi blocca il Paese». Applausi scroscianti dai banchi del Carroccio. Poi si alza Santangelo: «Io parlo a nome del governo, che si rimette alla decisione del Parlamento».
Chi è il governo, qui? Garavaglia? O Santangelo. Ce ne sono due, all’evidenza.
È l’eterno teatro italiano. Uomini che si agitano. Opposte tifoserie. Orazioni esagerate. Sberleffi. Un osservatore straniero penserebbe che il governo populista stia per esplodere. Ma ha sottovalutato le risorse recitative della nostra classe politica. Cinquestelle e leghisti si votano contro, da separati in casa, eppure il governo in qualche modo va avanti. Si è mai visto qualcosa di simile nella travagliatissima storia della Repubblica italiana?
Sei sono le mozioni Tav. Due contro l’opera, di M5S e Sinistra, le altre quattro, di Pd, Più Europa, Fratelli d’Italia, Forza Italia, a favore. La giornata è iniziata con il ministro Danilo Toninelli che in un’intervista ha definito Matteo Salvini «un nano sulle spalle dei giganti che lavorano». È l’ultimo giorno prima delle vacanze. Aula inizialmente semivuota, fuori nei corridoi e alla buvette i peones scrutano tesi l’orizzonte. Il senatore grillino Agostino Santillo grida «all’inciucio» tra Pd e Lega, perché entrambi favorevoli alla Tav. Quelli del Pd irridono la mozione M5S, perché impegna il Parlamento, non il governo, anche questo non si era mai visto. «È carta straccia». Il senatore M5S Alberto Airola, No Tav storico, fa confusione sui numeri dei costi dell’opera per Francia e Italia, dal Pd sghinazzano, la grillina Elisa Pirro prima prova a suggerirgli dei numeri, Airola s’intorciglia ancora di più, la Pirro si mette le mani sul volto.
Il crepitare dei clic dei fotografi sulle tribune rivela che è arrivato Salvini. Tutti i leghisti si alzano in piedi deferenti, gli fanno spazio, poi il vicepremier esce con il capogruppo Massimiliano Romeo: i due scompaiono fuori dall’aula. «Siete entrati qua dentro come il partito di maggioranza relativa e non fate che chinarvi ai diktat della Lega», urla Loredana De Petris, di Liberi E Uguali mentre osserva la scena.
«Dov’è Toninelli?. Perché non è qui a difendere le sue ragioni?», chiede Luca Ciraini di Fratelli d’Italia. E in quel frangente, come in una pièce, Toninelli spunta con lo zainetto, e saluta allegro i colleghi del Movimento. È tutto un abbracciarsi. Ciraini cita Andreotti “del meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. «Ecco la parabola dei rivoluzionari grillini, abbarbicati alle poltrone». Rispuntano Salvini e Romeo, e i peones tengono il fiato sospeso. Che avranno mai deciso? Il renzianissimo Andrea Marcucci s’infervora: «Questa maggioranza non esiste più. Conte vada dal Quirinale!». I dem lo sommergono di applausi, è spuntato anche il vicepremier M5S Luigi Di Maio. Si sistema accanto a Fraccaro e parlotta con Toninelli.
Con Salvini non si salutano né si sfiorano mai. La scena ora è la seguente. Al banco del governo, sul lato sinistro, Salvini è seduto accanto Centinaio e Stefani. Poi ci sono due poltrone vuote. Quindi Di Maio, Fraccaro e Toninelli. Di Maio sembra inamidato. Salvini invece si sfrega le mani. «Bastaaa! Andate a casa» conclude la sua orazione Marcucci. Lo spicchio Pd sembra la curva Sud. Un tempo queste cose le facevano i Cinquestelle, che adesso sono lì, gelidi e silenziosi: un potere impaurito. Centinaio ride, mentre osserva la curva democratica.
Poi prende la parola Romeo. È un brianzolo sempre scattante, con una gran parlantina. Dice che la Lega voterà contro la mozione M5S. «Per le opere finanziate non si possono accampare obiezioni ambientali, e queste non sono più rinviabili. È una questione di credibilità verso gli investitori esteri». Quindi si fa più solenne: «Qua la questione è politica. Chi vota No alla Tav si prende la responsabilità. Non possiamo più accettare blocchi, su infrastrutture, autonomia, giustizia».
Bum! Tutta la destra si alza in piedi e lo applaude. «Bravo!», gli dicono i suoi. Quindi è la crisi? Si va al voto? Dai banchi del Pd rumoreggiano nervosi. Romeo alza lo sguardo divertito: «Paura, eh?». «Buu», gli rispondono. Lucio Malan di Forza Italia cita Cavour, che vinse la battaglia per il Frejus, la Tav del 800, il grillino Nicola Morra regala una cravatta No Tav a Matteo Renzi, e Renzi a sua volta sistema una spilletta M5s a Tommaso Cerno, che vota la mozione anti Tav.
Poi tocca al capogruppo Cinquestelle Stefano Patuanelli: «Chiedo agli amici della Lega: vogliamo regalare i soldi a Macron? Lasciamo che sia il Pd a regalare parlamentari a Marcon!». I cinquestelle, fin lì tramortiti, ritrovano l’orgoglio delle loro ragioni e si complimentano entusiasticamente, i leghisti sembrano accusare il colpo retorico.
Dopo il voto delle mozioni, la Lega non formalizza la crisi, a dispetto delle evidenze, Di Maio guadagna l’uscita subito, incupito, come un allenatore sconfitto, mentre Salvini batte il cinque ai suoi. I leghisti sono contenti. «Ogni mattina i Cinquestelle sono pronti a ingoiare un cucchiaino di m...», commenta Renzi. «Possiamo andare in vacanza», è l’analisi politica del berlusconiano Giorgio Mulé. E il deputato rocker M5S Sergio Battelli può annunciare su Facebook l’uscita del suo ultimo singolo: «Somebody else». Che ne pensate?, chiede ai suoi follower. Solo uno gli risponde: «Vai col rock».