Corriere della Sera, 8 agosto 2019
Senza tricolore la Pellegrini non andrà ai Giochi
«Una premessa».
Prego.
«Non sono una politica: esprimo un’opinione da atleta. Spero che si raggiunga in fretta un punto d’incontro tra le parti. La volontà di noi atleti italiani è gareggiare all’Olimpiade di Tokyo 2020, la massima espressione dello sport, per il nostro Paese. Quindi sotto il tricolore».
Partiamo proprio da qui: cosa pensa una campionessa come Federica Pellegrini, reduce dall’oro nei 200 stile libero al Mondiale di Gwangju, della minaccia del Cio? E la polemica tra Governo e Coni, vista dalla vasca, come le appare?
«È tutto abbastanza assurdo. Spero nel buonsenso delle parti in causa. Se c’è una cosa che funziona in Italia è lo sport: bisogna ricordarselo. Se ci sentiamo più italiani e più uniti è anche grazie alle nostre imprese. Io a Tokyo ci voglio andare con la bandiera sulle spalle».
L’ultima grande impresa è proprio sua: sesto oro mondiale, secondo consecutivo nei 200 sl. È tutto vero?
«Mi sembra di sì! A meno che io non mi sia ancora svegliata dal sogno. Ho festeggiato i 31 anni lunedì con una cena con i miei genitori: avevo ancora il jet lag, alle undici ero a letto. I festeggiamenti per l’oro, quelli veri, devono ancora cominciare».
Quante volte ha rivisto la gara coreana, fin qui?
«Una quarantina. Non mi riguardo mai, ma stavolta ho pensato: Fede non resettare subito, questa te la devi proprio godere. Me lo dico da sola: sono stata propio brava!».
Immaginarsi a Tokyo senza bandiera e senza inno, in bianco come atleta indipendente, come la fa sentire? Più triste, arrabbiata o impotente?
«Destabilizzata. Io non ci credo che possa succedere, è impossibile. Ho letto che nella peggiore delle ipotesi gli atleti singoli potranno partecipare sotto la bandiera del Cio ma le squadre no. Non riesco nemmeno a immaginare cosa possano pensare Sandro Campagna e gli azzurri del Settebello, oro mondiale a Gwangju, in questo momento...».
Sarebbe scontato andare comunque a Tokyo, in quella peggiore delle ipotesi?
«Bella domanda.. Lavori tutta una vita e poi ti rovinano la tua quinta e ultima Olimpiade... Ora come ora direi: vado comunque. Ma non è così scontato. Senza patria, senza inno... È troppo strano, troppo assurdo. È fantasport».
Elisa Di Francisca ci ha detto che il momento in cui arriva a casa il kit olimpico con la divisa è sacro.
«Elisa ha ragione. Mi ricordo ancora il primo, nel lontano 2004: un giorno bellissimo, emozionante. Non importa se sei al debutto o alla quinta Olimpiade: quando ricevi il kit scende sempre una lacrimuccia».
Sottolinea di essere un’atleta, non una politica. Ma a Tokyo, quando il presidente Malagò la candiderà al Cio in quota atleti, con la politica (sportiva) toccherà sporcarsi le mani, Federica.
«Piano. Ne sarei onorata ma voglio prima parlare bene con Giovanni, capire i tecnicismi, prepararmi. Spero che la politica sportiva sia diversa da quella di governo: avendo a che fare con i valori dello sport, mi aspetto che sia tutto logico e palese».
E poi sarà pronta per diventare il primo presidente donna del Coni?
«Oddio, no! La ringrazio ma dopo il nuoto voglio vivere tranquilla. Per me esiste solo il supremo potere del tempo: meritocrazia significa che chi tocca per primo, vince».