Corriere della Sera, 8 agosto 2019
Cosa mangiano i commissari della letteratura per risolvere i loro casi
«Tornò a casa, raprì il frigo. Adelina doveva essiri stata colpita da un’acuta forma di vegetarianesimo. Caponatina e un sublime pasticcio di cacocciolì e spinaci. Conzò il tavolino della verandina e si sbafò la caponatina...». È un omaggio allo scomparso Andrea Camilleri l’ultimo libro pubblicato da Trenta Editore, La caponatina di Adelina. Ma non solo. Perché le 155 ricette ispirate alle passioni gastronomiche del commissario Montalbano sono un invito a riscoprire i gialli in cucina, i thriller con coté gastronomico. Non sono pochi.
Da Georges Simenon a Petros Markaris, sparatorie e agguati, omicidi della mala e delitti passionali si accompagnano sempre a intervalli che hanno il doppio scopo di interrompere l’escalation della tensione e di renderci più simpatici, vicini, gli investigatori «golosi». E se Salvo Montalbano è così sinceramente conquistato dai piatti della sua Sicilia, lo deve anche alla tradizione letteraria del noir.
Tra la letteratura del XX secolo non si può non citare il ciclo di Simenon dedicato a Jules Maigret. Anche perché, chi ricorda la bella trasposizione tv della Rai Anni 60 – con Gino Cervi nel ruolo del commissario – potrebbe rammentare anche che il produttore di quella serie era proprio Andrea Camilleri. Così, tra il Coq au vin cucinato dalla signora Maigret e la Pasta ’ncasciata preparata dalla domestica Adelina c’è un filo conduttore, che lo stesso Camilleri fa dipanare a Montalbano in Il cane di Terracotta: «Pensò che in fatto di gusti egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho... che si abbuffava di piatti che avrebbero dato foco alla panza di uno squalo». Affermazione che Vázquez Montalbán, amico di Camilleri, si sentì di dover minimizzare.
Thriller e cucina hanno ispirato varie rassegne letterarie: dal «Festival del Giallo» di Pistoia a «GialloLuna NeroNotte» a Ravenna, a «Scrivere di cibo – Giallo nel piatto» a Napoli, fino al nuovo «Zacapa Noir Festival», che dal 10 settembre porterà in un ristorante di Milano una trentina di autori a incontrare il pubblico. Tra le 19 cene letterarie molte avranno oratori che il rapporto tra sapori e noir lo hanno esplorato a fondo: Giménez-Bartlett, Malvaldi, Lucarelli, Varesi, de Giovanni. Perché il percorso del gusto in giallo è lungo e appassionante.
Dalla Spagna di Carvalho, l’ispettore creato da Vázquez Montalbán, e della commissaria Petra Delicado forgiata da Giménez-Bartlett, alla Francia di Maigret, ma anche del commissario italo-marsigliese Fabio Montale di Jean-Claude Izzo. E poi alla Grecia di Kostas Charitos, il Montalbano di Atene creato da Markaris, le cui avventure vanno in pausa davanti ai piatti della moglie Adriana, come i ghemistà, verdure ripiene di riso. Per arrivare alla Sicilia di Camilleri, passando per un’Italia di investigatori che mostrano il loro lato debole a tavola.
Il vicequestore Rocco Schiavone, esiliato ad Aosta dalla penna di Antonio Manzini, si consola con un piatto di rigatoni alla cacio e pepe. Il laureato barista e aspirante detective Massimo Viviani del BarLume – i cui delitti hanno segnato il successo di Marco Malvaldi – se la cava bene ai fornelli e si spinge a mettersi in società con l’amico Aldo nel ristorante Bocacito. Ma prima di arrivare in Toscana, una sosta a Genova, dove Nadia Morbelli ha dato il suo nome a un’investigatrice autodidatta: una redattrice che per professione lavora nel mondo dei gourmet.
A Bologna, Carlo Lucarelli ambienta Intrigo italiano costringendo il suo commissario De Luca (afflitto da un disturbo alimentare che lo porta a non mangiare quasi mai) a confrontarsi con il terribile richiamo di tortellini, salumi, bomboloni alla crema e rane fritte. Ma ci pensa Valerio Varesi a pareggiare i conti con il suo poliziotto parmigiano Soneri, amante degli anolini e altre delizie della cucina emiliana. E anche il personaggio creato da Marco Vichi, l’ex partigiano Bordelli, commissario anche lui, è cuoco autodidatta. Scuola toscana, però.
Da Nord a Sud, per tornare alla Vigàta di Montalbano si passa per Napoli: c’è una presenza discreta ma importante dei piatti della tradizione campana nelle avventure del regio commissario Luigi Alfredo Ricciardi, che Maurizio de Giovanni – nel giallo In fondo al tuo cuore – mette davanti alla zuppa dell’anziana tata Rosa: «Lo scuro grano cappella, il granturco, le fave, le cicerchie, i ceci e le mimmiccole, le lenticchie…».
Non sempre, dunque, la vendetta è un piatto che va servito freddo. Non nei gialli dei grandi autori con la passione per la gastronomia. Tra gli antesignani ci fu Rex Stout con il suo Nero Wolfe: «Pancetta, fagiano, arrosto d’oca, cioccolato, pistacchi» sono gli ingredienti di un piatto (le Salsicce mezzanotte, ricetta estorta da Wolfe a uno chef in Alta cucina, 1938) «leggero» quasi quanto i pasticci catalani di Pepe Carvalho. Ed eccoci tornati al maestro della cucina elaborata tra delitti e indagini. E a un epitaffio, vergato dallo stesso Montalbán: «La sordidezza del romanzo poliziesco più o meno convenzionale non esclude di puntare sui piaceri. Se James Bond dimostrava un’ottima conoscenza dello champagne, non capivo perché mai Carvalho dovesse rinunciare a spiegarsi la vita mediante le sue passioni gastronomiche».