Corriere della Sera, 8 agosto 2019
Il raccolto della vergogna del XXI secolo
L’anno scorso una collega mi ha chiesto dove fossi andata a scuola da bambina. Le ho risposto: a Lorain, in Ohio. Lei mi ha domandato se a quei tempi le scuole fossero desegregate. E io: come, scusa? Non erano affatto segregate negli anni Trenta e Quaranta, dunque perché mai avrebbero dovuto essere desegregate? Inoltre, avevamo un liceo e quattro scuole medie. Solo dopo mi è venuto in mente che lei stessa aveva una quarantina d’anni quando il termine «desegregato» si era diffuso in tutti gli Stati Uniti. Ovviamente avevo fatto confusione con le date e altrettanto ovviamente la precoce diversità della popolazione nel luogo in cui sono cresciuta non era la regola nel resto del Paese. Prima di lasciare Lorain per Washington e poi per il Texas, Ithaca e quindi New York, credevo che tutte le altre città fossero più o meno simili, al di là delle dimensioni. Non potevo essere più lontana dal vero. In ogni caso, quelle domande mi hanno spinta a ripensare a questa zona dell’Ohio e a tornare con la mente alla mia casa di allora. Questa regione (Lorain, Elyria, Oberlin) non è più come quando ci abitavo, ma in un certo senso non ha importanza, perché casa è ricordo e quei compagni e/o amici che lo condividono. Ma se il ricordo, il luogo stesso e le persone che popolavano la nostra casa sono importanti, lo è altrettanto l’idea di casa in sé. Che cosa intendiamo nel dire «casa»?
È un interrogativo cruciale, perché il destino del XXI secolo sarà plasmato dalla possibilità o dal collasso dell’idea di un mondo condivisibile. Il problema dell’apartheid culturale e/o dell’integrazione culturale è centrale per tutti i governi; influisce sulla nostra percezione dei modi in cui la politica e la cultura determinano l’esodo (volontario o forzato) di intere popolazioni e solleva temi complessi quali lo spodestamento, il recupero e il rafforzamento della mentalità da assedio. In quali maniere gli individui oppongono resistenza o diventano complici del processo di alienante demonizzazione dell’Altro – un processo che può contaminare il santuario geografico dello straniero con la xenofobia della nazione? Accogliendo i migranti, oppure importando schiavi per ragioni economiche e riducendo i loro figli a una versione moderna dei «morti viventi». O ancora trasformando i membri di un’intera popolazione nativa, magari con una storia antica di secoli o millenni, in disprezzati stranieri in patria. O infine restando a guardare con un’indifferenza da privilegiati, come ha fatto il governo quando un’inondazione di portata quasi biblica ha distrutto una città intera, perché gli abitanti erano neri o poveri superflui, privi di mezzi di trasporto, acqua, cibo e soccorso, che sono stati abbandonati a sé stessi, a nuotare, trascinarsi o morire nell’acqua fetida, in soffitte, ospedali, prigioni, viali e recinti per animali. Sono queste le conseguenze di una demonizzazione persistente; è questo il raccolto della vergogna.
Com’è ovvio, il movimento di popolazioni esposte alla violenza in prossimità o al di là dei confini non è nuovo. L’esodo forzato o voluto in un territorio estraneo (psicologicamente o geograficamente) è indelebile nella storia di ogni quadrante del mondo conosciuto, dalla marcia degli africani verso la Cina e l’Australia alle campagne militari degli antichi Romani, degli Ottomani e in seguito degli europei, alle spedizioni commerciali partite per soddisfare i desideri di una varietà di regimi, monarchie e repubbliche. Da Venezia alla Virginia, da Liverpool a Hong Kong. Tutti costoro, e molti altri, trasferirono le ricchezze e le opere d’arte ritrovate in altri regni. E tutti costoro lasciarono il loro sangue sul suolo straniero, e/o lo trasfusero nelle vene dei conquistati. Sulla loro scia le lingue dei conquistati e dei conquistatori presero a traboccare di parole di condanna dell’Altro.
La riconfigurazione delle alleanze politiche ed economiche e la pressoché istantanea rimodulazione degli Stati nazione incoraggiano e respingono il trasferimento di un alto numero di persone. Escludendo il culmine del commercio di schiavi, questo movimento di masse umane è imponente come non mai. Comporta la distribuzione di lavoratori, intellettuali, rifugiati, mercanti, migranti ed eserciti attraverso oceani e continenti, tramite le dogane o lungo rotte nascoste, con molteplici narrazioni pronunciate nei molteplici linguaggi del commercio, dell’intervento militare, della persecuzione politica, dell’esilio, della violenza, della povertà, della morte e della vergogna.