Corriere della Sera, 8 agosto 2019
Breve storia di Taormina
Quando i greci della diaspora, tremila anni orsono, migrarono dalle isole dell’Egeo verso occidente, il punto d’approdo naturale fu la punta estrema della penisola italica e la terra vastissima della Sicilia.
Fondarono colonie e città, ma siccome erano intimamente marinai e commercianti queste città furono poste principalmente sulle coste, rocciose quanto le loro isole di provenienza ma con un fortunato entroterra, controllato dai siculi, ricco e agricolo, impensabile per loro che mangiavano da secoli solo pane e capra arrosto.
Erano stati in un costante conflitto fra le diverse polis dell’Egeo e portavano la medesima conflittualità nei luoghi dei nuovi approdi, dove spesso erano già stabili i fenici, giunti poco prima di loro e collegati a Cartagine.
La complessità della vita nel Meridione d’Italia, da Taranto a Paestum e da Partenope alla Sicilia, ne è la traccia tuttora esistente ma la bellezza dei luoghi scelti per gli insediamenti ne è la testimonianza più viva.
Nel 735 prima della nostra era un gruppetto di greci achei provenienti dall’Attica vicino ad Atene si fermò sulle foci del fiume Alcantara per fondare la loro colonia di Naxos: v’erano il mare e l’acqua dolce, nonché una vegetazione da sogno. Solo che Dioniso capo di Siracusa era d’origine dorica e quindi alleato di Sparta. La videro brutta gli achei e si rifugiarono sulle colline di Taormina, dove posero solide radici.
Ma i siracusani non demordevano e infine ce la fecero: il loro capo Agatocle prese la città con un bagno di sangue. L’ordine fu rimesso dai romani (allora ce la facevano ancora) nel 212 a.C. e ne fecero un impianto urbano complesso, con un teatro tuttora esistente, così bello che Cicerone lo chiamò Civis notabilis fra le varie città ormai federate.
Nel X secolo fu ovviamente occupata dai saraceni e posta sotto il controllo dell’emiro di Palermo. E poi ancora arrivano gli eserciti di Ruggero d’Altavilla, il normanno che fondò la monarchia di Sicilia. Il mondo cristiano si popolava d’avventurieri che se n’erano andati a fare crociate e se ne tornavano con titoli di feudi conquistati in Oriente.
È così che diventa governatore di Taormina il cavaliere Giovanni Natoli conte di Sparta (e riecco i greci!) e che la città risorge con degli edifici del XIII secolo degni di rispetto: viene costruito sulla cinta muraria l’elegante palazzo dei duchi di Santo Stefano in quell’architettura dalle bifore tipiche del gusto arabo normanno e quell’altro palazzo posto sull’agorà greca, Palazzo Corvaja dalla trifora orientale, tutti con i merli imperiali della dinastia sveva. Taormina non è solo luogo di vacanza sin dagli anni del barone von Gleoden, va ben oltre la qualità raffinata dei suoi alberghi, è un libro di storia da leggere passeggiando.
Ma l’esperienza poetica più intensa rimane tuttora quella marina. Di quell’approdo iniziale greco rimane una testimonianza mirabile nella piccola isola posta a poche centinaia di metri dalla riva e collegata con una lingua di terra sassosa a fior d’acqua. Quella passeggiata coi piedi a mollo ridà per incanto al turista la sensazione d’essere un acheo antico.
E poi s’arrampica, pagando un modesto biglietto alla Regione Sicilia che oggi ne è proprietaria, in un giardino fatato che Lady Florence Trevelyan piantò sul finire dell’Ottocento.
Gli inglesi allora, grazie all’avventura sentimentale della vivace Lady Hamilton con Nelson fatto duca di Bronte per coltivare pistacchi, selezionarono, per sostituire il vino di Porto che Napoleone bloccava in Portogallo, le vigne dolci del Marsala.
L’intera Sicilia divenne il meridione sognato a Londra. Arrivarono gli Hopps per i vigneti, i Whitaker che crearono villa e giardino a Palermo e ovviamente la dolce Lady Florence, la quale col nome che le era stato dato non poteva non amare l’Italia.