il Fatto Quotidiano, 7 agosto 2019
Cosa fa e quanto vale Almaviva
L’emorragia di licenziati Almaviva continua, ma il suo fatturato cresce, la società si espande a livello internazionale e le gare – milionarie – vinte nel settore pubblico aumentano. Eppure, come si diceva, dopo le 1.666 teste tagliate nella sede romana, adesso tocca a Palermo con 1.660 persone, che a settembre rischiano di perdere il lavoro. Il tavolo di fine luglio convocato al Mise, e disertato da Luigi Di Maio, si è concluso con un nulla di fatto e gli ammortizzatori sociali, concessi generosamente nel corso degli anni, sono scaduti a giugno. Com’è possibile che un’azienda florida dia il via a massicci licenziamenti – e con modalità non proprio commendevoli (a Roma dopo il rifiuto di ridursi lo stipendio) – e contemporaneamente continui a fare milioni grazie alla P.A. come se nulla fosse?
La cosa ha a che fare col fatto che Almaviva è assai più di quel che sembra. La crisi nel settore dei call center, lamenta l’azienda, è da imputare alla delocalizzazione: peccato che la stessa Almaviva risponda alle chiamate delle principali commesse palermitane, Tim e Wind3, anche dalle sue sedi rumene. Due in tutto, risulta dalla brochure aziendale che descrive il “Gruppo”, su un totale di 62 sedi dislocate in 8 Paesi sparsi in quattro continenti (niente Oceania per ora) con 45mila dipendenti totali. E non si parla certo di soli call center, perché il vero core business della multinazionale di proprietà della famiglia Tripi è tutt’altro: il “gruppo” si vanta di aver raggiunto 823 milioni di fatturato nel 2018 per lo più dall’Information Technology.
Ma andiamo con ordine. Il fatturato di Almaviva Contact – la società che si occupa di call center e ha in appalto commesse di società ed enti pubblici come Eni, Enel, Poste, Trenitalia e Inps – è di circa 144 milioni, il 17% del totale: il settore, secondo la stima del gruppo, crescerà dell’1,8% quest’anno, ma il bilancio 2018 si è chiuso in perdita per quasi 14 milioni. Colpa, elencano i revisori, dei costi per l’apertura del nuovo sito, del ritardo nell’inizio dell’attività per i nuovi clienti e del rinnovo dei contratti di lavoro (per cui si auspica una riduzione dei costi a Palermo e s’è visto come). Nuovi margini di guadagno però, secondo la società, sono in arrivo grazie ai servizi digitali alternativi alla voce come i software per il riconoscimento vocale e l’analisi dei dati (speech e data analytics) e le chat bot (le risposte date in automatico dagli assistenti digitali) in cui Almaviva prevede nuovi investimenti.
E qui si torna all’Information Technology (IT) che, in sostanza, si occupa dello sviluppo, gestione e analisi delle informazioni digitali presenti all’interno di una struttura. Connettendo informazioni, creando software ad hoc e così via. Principale cliente italiano di questo gigantesco ramo della società è la Pubblica amministrazione, locale e nazionale, di cui Almaviva gestisce l’Agenda digitale per cui nel 2017 ha vinto, con altre società, una gara da 850 milioni. Qui invece i bilanci (separati) sorridono: Almaviva Spa, per dire, dai suoi 434 milioni di fatturato nel 2018 ha tirato fuori utili per 25 milioni (quasi raddoppiati in un anno) e la Almaviva Technologies ne aggiunge altri 11,3 milioni, quasi triplicati rispetto ai 2,9 del 2017.
Una manna dovuta in gran parte allo Stato. Ecco un breve elenco dei soggetti interessati. Intanto i ministeri: Esteri, Giustizia, Interno, Difesa, Sanità, Economia, Lavoro, Beni Culturali, Istruzione, Agricoltura. A cui si aggiungono le Regioni Veneto, Lombardia, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Puglia, Sardegna e Sicilia. E ancora: Anac, Consip, Equitalia, Inps, Sogei e pure la Corte dei Conti, che nel 2013 multò la Gmatica, società del gioco d’azzardo controllata da Almaviva fino al 2011, per lo scandalo delle slot machine rimaste per anni scollegate dal sistema informatico del fisco (ovvero Sogei) per un danno erariale miliardario. Gmatica ne uscì con una penale di qualche milione di euro, scontata più volte e calcolata nella fase iniziale da una commissione del ministero dell’Economia dove sedeva Andrea Monorchio, ex Ragioniere generale dello Stato ed ex componente (parliamo del 2006) del cda proprio di Almaviva.
E se oggi sia Corte dei Conti che Sogei sono clienti della società – si tratta di gare d’appalto, sia chiaro, indette da Consip (altra cliente) – dopo quasi una decade nel portafogli Almaviva c’è ancora, in raggruppamento d’impresa, il call center dell’Inps: lo stesso ente previdenziale che nel 2017 ha dovuto bussare alla porta di Almaviva per ottenere, rateizzato, il versamento di qualche milione di contributi mancanti. Tutto saldato, sia chiaro.
Tratteggiato per sommi capi il business, è bene fare un po’ di storia. Il vero boom dell’azienda – il cui nome riunisce quelli della famiglia proprietaria: Alberto, Marco, Viviana e Valeria – è piuttosto recente e risale ai primi anni 2000. In precedenza, quando ancora si chiamava Cos Communication services, vendeva computer. L’idea venne nel 1983 ad Alberto Tripi, ingegnere, un ventennio all’Ibm prima come sistemista e poi come responsabile del settore commerciale in Europa e Medio Oriente. Tra i soci Luigi Abete e Vittorio Merloni, tutti in Confindustria come Tripi (oggi delegato per la cyber security).
A metà degli anni 90 Cos entra nel business dei call center, mentre il suo patron approda, siamo nel 1997, nel consiglio d’amministrazione dell’Iri, dove siede per cinque anni fino allo scioglimento. L’anno prima aiuta il suo ex presidente, nonché amico, Romano Prodi, a trovare una sede per il neonato Ulivo, che si stabilisce in piazza Santi Apostoli a Roma, proprio accanto al suo ufficio.
Tripi ci sa fare con le amicizie, che coltiva a livello trasversale in affari e politica. Frequenta alternativamente prodiani e berlusconiani come Gianni Letta e Maurizio Sacconi, entrando nelle grazie di Marco Tronchetti Provera che lo sostiene nella candidatura, andata male, a presidente di Confindustria. Ed è proprio Tronchetti che dà l’abbrivio alla società di Tripi all’epoca della sua presidenza Telecom. Nel 2004 cede a Cos l’80% di Atesia, il più grande call center d’Europa, dopo aver scorporato la piccola Telecontact, rimasta all’ex monopolista. Nel 2005 gli vende per 160 milioni Finsiel, un ex gruppo di dieci società – tra cui figurava anche Sogei, ceduta al Tesoro nel 2002 – che si occupa di software e consulenza informatica (cioè è specializzata in IT).
Finsiel lavora massicciamente per la P. A. centrale e locale, e per i settori bancario, assicurativo e dei trasporti. Controllata inizialmente dall’Iri (sotto la presidenza dell’amico Prodi) e Bankitalia, nel 1992 passa a Stet (poi Telecom dopo la privatizzazione del presidente, stavolta del Consiglio, Romano Prodi), transita per le mani di Tronchetti Provera per arrivare infine all’ingegner Tripi che la fonde con la sua società, creando Almaviva. Quindici anni prima un altro ingegnere, Carlo De Benedetti, aveva tentato la stessa operazione con Olivetti, ma la faccenda era naufragata dopo il rifiuto dell’Iri.
Finsiel è la pietra miliare dell’impero di Tripi, che ne continua il lavoro anche nello sviluppo di software come il riconoscimento delle impronte digitali o il braccialetto elettronico per detenuti. Un’apripista per Almaviva che inizia a espandersi aprendo la prima sede estera in Brasile, a cui seguiranno quelle in Colombia, Usa (nella Silicon Valley), Belgio, Romania, Tunisia e Cina. I rapporti con l’Unione europea sono gestiti da Bruxelles, dove a luglio, insieme ad altre imprese, Almaviva ha vinto l’appalto per la consulenza e la gestione dei servizi dell’area doganale Ue: 95 milioni in 5 anni. Per la Tunisia ha realizzato il portale del Parlamento e in Cina si occupa di IT in società con un gruppo controllato dal governo di Pechino.
In Italia i sistemi informatici della famiglia Tripi servono allo Stato per emettere milioni di stipendi e pensioni; sorvegliare stazioni ferroviarie e aeroporti (controllandone pure il traffico); rilasciare permessi di soggiorno, passaporti digitali e visti; erogare 5 miliardi di fondi europei; gestire la sorveglianza terrestre, navale e aerea (settore in cui lavora anche per altri paesi Nato); monitorare il territorio integrando cartografia e rilevazioni satellitari. Insomma, buona parte della nostra esistenza sembra essere gestita da Almaviva, che nei suoi server può immagazzinare in cloud fino a 7 petabyte di dati (per l’intero archivio radio-tv dell’Olanda ne basta poco più di uno). Non sfuggiamo neanche sui social perché la multinazionale di Tripi aiuta anche i privati nelle strategie di marketing analizzando le nostre interazioni su Facebook & C. Slogan: “Cosa pensano i vostri clienti? Noi lo sappiamo”.
Solo quest’anno Almaviva ha vinto (non da sola) almeno tre gare pubbliche: ad aprile quella da 180 milioni per il Sistema informativo agricolo nazionale, a giugno una analoga da 20 milioni per la Ragioneria dello Stato e qualche settimana fa un’ultima da 100 milioni per immagazzinare i dati della Lombardia. Senza contare i 10 milioni di contributi pubblici per sostenere i 1.666 licenziati del 2016 a Roma stanziati giusto a luglio.
Soldi pubblici, profitti privati, rischio d’impresa accollato ai lavoratori. Un modello perfetto e a prova di polemiche (e rappresaglie): specie se invece di lavorare per lo Stato, si finisce quasi per gestirlo.