Libero, 7 agosto 2019
Per salvarsi da un infarto bisogna intervenire entro dieci minuti
Non c’è più tempo da perdere. La “Golden hour”, ovvero i sessanta minuti successivi all’attacco cardiaco, quell’ora d’oro considerata il limite entro cui intervenire per salvare un cuore infartuato, è ormai superata, perché nei casi più gravi, per ogni 10 minuti di ritardo, 3 pazienti in più su 100 perdono di sicuro la vita. La Società Italiana di Cardiologia (Sic), insieme alla Fondazione Italiana Cuore Onlus, in occasione della presentazione della campagna “Ogni minuto conta”, ha presentato nuovi studi scientifici che evidenziano l’importanza dei soccorsi tempestivi e della rapidità della terapia medica in caso di infarto, sottolineando che un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi cardiaci può addirittura quadruplicare la mortalità. In pratica, la prognosi del paziente peggiora in maniera continua all’aumentare del ritardo nel trattamento, e questo risulta ancora più vero per chi arriva in ospedale in condizioni gravissime, quando ormai c’è poco o nulla da fare, perché in questi casi anche raggiungere il pronto soccorso 10 minuti prima avrebbe cambiato il destino di quel cuore malato. Ma anche per chi giunge all’osservazione clinica in condizioni meno gravi il ritardo ha sempre un impatto negativo, perché più si indugia e più si aspetta, più le coronarie si chiudono definitivamente, soffocando ed infartuando il muscolo cardiaco in modo irreversibile. Il caldo e l’afa di questi giorni sono nemici subdoli e pericolosi per chi soffre di miocardiopatie manifeste o mascherate poiché, essendo il nostro organismo costantemente controllato da un complesso meccanismo di termoregolazione, ogni rialzo eccessivo della temperatura richiede uno sforzo cardiaco supplementare, attraverso il quale aumenta la sudorazione, i vasi sanguigni si dilatano, la pressione arteriosa si abbassa, ed il cuore, per contrastare tutto ciò, aumenta la sua frequenza, ovvero va in tachicardia, lavorando quindi più intensamente. Nei soggetti adulti e in buone condizioni fisiche i fisiologici meccanismi di autoregolazione si attivano senza problemi, mentre nei cardiopatici, essendo tali metodi di compenso più deboli e meno efficaci, possono portare a gravi conseguenze. MAI MINIMIZZARE Purtroppo ancora oggi moltissime persone non riconoscono immediatamente i sintomi cardiaci, perché quando essi compaiono, in oltre il 60% dei casi vengono minimizzati, declassati a semplici disturbi, attribuiti erroneamente a cattiva digestione, a costipazione, a gengiviti, dolori muscolari, ossei o intercostali, al reflusso esofageo, o al mal di schiena, e vengono affrontati con generici antidolorifici od antinfiammatori (nel dubbio sempre meglio prendere la semplice aspirina!), i quali non influiscono minimamente sulla tragicità della patologia miocardica in atto, che pure manda evidenti e precisi segni di sé durante il suo malefico decorso. Ecco, per ridurre questo mancato riconoscimento, ed il conseguente colpevole ritardo, l’unica strategia è imparare a riconoscere su se stessi e sugli altri i sintomi di un attacco cardiaco, che sono chiari ed indicativi, tenendo sempre ben presente il rischio di un ritardato accesso in pronto soccorso, il che non vuol dire precipitarsi in ospedale al primo colpo di tosse, ma chi avverte per la prima volta il mal di cuore, capisce immediatamente che si tratta di un dolore “diverso”, mai provato prima, che genera angoscia, ansia e che spaventa, e che soprattutto attanaglia e non accenna a diminuire. In caso di infarto il dolore più tipico è quello al petto, dietro lo sterno, che insorge dopo sforzo e più spesso a riposo, che è oppressivo e stringe la gola, che dura oltre 15 minuti e che si irradia alla base del collo, raggiungendo frequentemente anche la mandibola, ed interessando sovente la spalla e il braccio sinistro, colpiti anche da un senso di pesantezza. Tale dolore, che insorge più o meno lentamente, diventa spesso lancinante, ed il sintomo principe è che non si modifica con la respirazione, cosa che deve indurre il paziente o i suoi familiari a chiamare immediatamente i soccorsi. Però oltre a questa sintomatologia classica della sofferenza coronarica, che tutti più o meno conoscono, a seconda delle arterie cardiache colpite dalla ostruzione trombotica, i sintomi possono essere molto diversi. L’attacco cardiaco infatti può presentarsi in maniera più subdola, simulando per esempio un dolore alla bocca dello stomaco, con una sensazione di peso gastrico come dopo un pasto abbondante (mi è rimasta la cena sullo stomaco...) oppure provoca un dolore addominale indefinito ma acuto (ho una colica intestinale...), che può irradiarsi alla parte posteriore del torace (dolore intercostale) coinvolgendo anche la spalla destra (dolore “a mantellina”). ATTENZIONE AI DIABETICI Una attenzione particolare deve essere rivolta ai pazienti diabetici di lunga data, poiché, essendo la loro malattia complicata spesso da arteriopatia e da neuropatia, l’infarto spesso inganna, può comparire in maniera silente, ovvero senza manifestazione di dolore, e quindi non essere riconosciuto durante la sua acuzie, il che può comportare un sicuro ritardo diagnostico che aggrava notevolmente la prognosi. In questi pazienti ed in quelli più anziani, quando non compare il classico dolore retrosternale, ma viene avvertita una intensa nausea, o un insolito mal di denti, che sembra interessare tutta la mandibola, se accompagnato da lieve dispnea, ovvero difficoltà a respirare, il sospetto di un infarto diventa certezza, perché anche questi sono segnali precisi che il cuore invia per avvisare che gli arriva poco sangue e che è in corso una grave ischemia. La necessità dell’intervento terapeutico il più immediato possibile per la miocardiopatia ischemica, è dettata dall’urgenza di “liberare” nel più breve tempo possibile la coronaria ostruita, quando cioè il trombo di piastrine accumulato nel lume del vaso non si è ancora consolidato e solidificato, e tutto ciò è possibile con l’angioplastica, un intervento che si esegue in anestesia locale, introducendo un catetere in una vena del braccio o della gamba, e farmaci trombolitici, che distruggono cioè il “tappo” piastrinico, rivascolarizzando la coronaria, applicando degli stent che dilatano l’arteria, ed evitando la morte ischemica del tratto di tessuto cardiaco circostante, ovvero risolvendo l’infarto. Quanto prima si riescono ad attivare i trattamenti che consentono di ridare flusso di sangue ossigenato al cuore, tanto minori saranno i danni irreversibili dell’infarto. Per questo motivo è imperativo, in casi del genere, raggiungere al più presto un ospedale dotato del servizio di Emodinamica, dove équipe di cardiologi, cardio-chirurghi e cardio-anestesisti assicurano un’assistenza continua nelle 24 ore, eseguono oltre 3.000 angio-plastiche l’anno, salvando ogni giorno migliaia di pazienti dalla perdita della funzionalità del cuore, dallo scompenso cardiaco, dall’edema polmonare acuto, dall’arresto cardiaco, e quindi dalla morte probabile o sicura. Ogni anno in Italia oltre 150mila persone vengono colpite da infarto del miocardio, di queste circa 30mila muoiono prima di arrivare in ospedale, ma fra i 95mila che arrivano in tempo in un centro di cura specializzato la mortalità è solo del 10,95%, e potrebbe presto essere dimezzata, perché in caso di attacco cardiaco, ora lo sapete, non c’è più tempo da perdere.