La Stampa, 7 agosto 2019
per evitare la fuga dei giovani, in Polonia gli under 26 non pagano le tasse
Le centinaia di migliaia di giovani polacchi che ogni anno lasciano il loro Paese per emigrare sono un «danno incommensurabile, una ferita dolorosa». Per questo il governo sovranista di Diritto e Giustizia ha proposto una legge, entrata in vigore il 1° agosto, che nelle intenzioni dovrebbe convincere quelli che stanno pensando di emigrare a evitare che lo facciano.
La nuova norma prevede che i giovani sotto i 26 anni (anche quelli residenti all’estero) che guadagnano meno di 85.528 zloty l’anno (pari a circa 20 mila euro) non paghino le tasse. L’esenzione dell’imposta sul reddito sarà «perpetua» e già dalla prossima busta paga gonfierà gli stipendi del 18% in più.
Per dare la misura dell’«enorme perdita» che affligge la Polonia dal suo ingresso in Europa, nel 2004, il premier Mateusz Morawiecki ha paragonato la fuga di cervelli a una «ferita dolorosa, un’emorragia insostenibile». E, di fronte al Parlamento silenzioso, ha aggiunto: «È come se l’intera città di Varsavia se ne fosse andata».
Secondo i piani la riforma potrebbe riguardare due milioni di giovani (su 38 milioni di polacchi). Secondo gli analisti e i media locali, invece, non è che una delle strategie elettorali del partito di Jaroslaw Kaczynski in vista delle politiche del 13 ottobre prossimo. La norma fa parte del pacchetto delle «5 promesse di Kaczynski», il mantra di tutta la campagna elettorale del PiS, alcune mantenute: i pensionati hanno ricevuto per la prima volta la tredicesima, mentre alle famiglie è stato offerto il bonus di 120 euro per ogni primo figlio (per i secondogeniti e successivi un simile emolumento viene già assegnato sin dalla vittoria elettorale del Pis nel 2015).
Il provvedimento per i giovani costerà a Varsarvia 2,5 miliardi di zloty, circa 580 milioni di euro l’anno, di cui metà arriverà dalle casse dello Stato centrale e l’altra parte dalle finanze comunali ed è stato accolto con scetticismo, sia dagli analisti che dai diretti interessati, che credono non sia nient’altro che una trovata elettorale, e che non potrà offrire ai giovani lavoratori emigrati le stesse condizioni economiche che trovano negli altri Paesi Ue. Mentre i salari polacchi sono molto più bassi che in Occidente (in media 60.000 zloty l’anno, 14.000 euro), l’economia del Paese cresce attorno al 4,5%, con la disoccupazione stabilmente sotto il 6%.
La crisi di manodopera, però, fa tremare il mercato del lavoro. Per colmare la carenza, le aziende polacche hanno dovuto assumere migranti (circa due milioni), per lo più ucraini. Se gli «esuli» polacchi tornassero sarebbe una boccata d’ossigeno. Ma per gli economisti più liberali il taglio alle imposte sul reddito non cambierà di molto l’economia, in quanto i costi più alti sulle spalle dei datori di lavoro sono rappresentati dal 40% degli oneri sociali.
I sostenitori della riforma ricordano invece il precedente svedese: nel 2007, per facilitare l’accesso al mercato del lavoro, il governo di centrodestra di Stoccolma aveva dimezzato i contributi dei datori di lavoro, se assumevano under 26. Un provvedimento soppresso nel 2016 dall’esecutivo di centrosinistra, che ne contestò l’efficacia. «Vogliamo aiutare i giovani a entrare nel mercato del lavoro, sempre più carente di personale, e ridurre l’emigrazione – ha spiegato il viceministro delle finanze Leszek Skiba -. Ma non abbiano una bacchetta magica».
Varsavia sembra fare scuola: nel 2020 anche la Croazia eliminerà l’imposta sul reddito per le persone fino a 25 anni e la dimezzerà per i giovani tra i 25 e 30 i anni.