la Repubblica, 7 agosto 2019
Tutto quello che c’è da sapere sui topi
Dove ci sono gli uomini, lì ci sono anche i topi. La loro società è l’esatto calco della società umana. Il termine “topo” è un’invenzione letteraria, perché in zoologia non esiste un animale con questo nome. Il termine scientifico che lo indica è Mus musculus, che corrisponde al topo domestico; c’è poi l’ Apodemus sylvaticus, la versione selvatica, della famiglia dei Muridi, l’ Eliomys
quercinus, il topo quercino, della famiglia dei Gliridi, lo Jaculus jaculus, il topo delle piramidi della famiglia dei Dipoidi, e molti altri. Così la distinzione tra topi e ratti non è compresa nelle classificazioni zoologiche. La famiglia dei Muridi, cui appartiene il “topo” comprende 83 generi, tra cui il Mus e il Rattus. Del primo sono presenti in Italia più di 300 sottospecie, poi evolute nel corso del tempo, e così anche per il Rattus. La storia dei topi è connessa con quella degli uomini a partire da quando, sessanta milioni di anni fa, si estinsero i dinosauri e cominciarono ad emergere i mammiferi, cui appartengono sia gli uomini che i topi.
Occorsero altri milioni di anni a entrambi per conquistare la superficie del pianeta. Questo formidabile animale proviene dall’Asia: dai deserti, dalle steppe e dalle foreste di quel continente. Fu nel VII secolo a.C. che le popolazioni indiane si resero conto che la presenza di ratti e topi era diventata endemica nelle loro abitazioni. Seguendo gli spostamenti delle genti e dei commerci, i topi entrarono in Africa. In Egitto il Rattus alexandrinus diventò commensale delle riserve alimentari dei faraoni e s’incrociò con altri tipi di ratti dando vita al Rattus rattus. Ma com’è arrivato in Europa diventando l’abitante stanziale delle nostre città? Secondo alcuni sarebbe giunto nel XII secolo dentro le navi dei crociati di ritorno dalla Terra Santa; in realtà il Rattus si trova già effigiato in bronzi votivi etruschi e su monete romane. Quello che aveva trovato posto sulle imbarcazioni cristiane fu un ratto molto aggressivo e vorace, che dovette contendere il proprio territorio nel XVIII secolo all’ancora più terribile Rattus norvegicus, creduto originario della Norvegia, ma in realtà arrivato prima, probabilmente dall’Asia. Si ipotizza che sia stato un terremoto devastante del 1727 in Asia centrale a produrre la diaspora del norvegicus verso l’Europa da città come Calcutta.
Ma qual è il segreto del successo dei topi? La loro sbalorditiva prolificità, che ne ha fatto sin dall’antichità un emblema della sessualità e li ha elevati presso alcuni popoli a divinità. La femmina del ratto ha sei paia di mammelle, va in calore da sei a otto volte l’anno per una durata di sei ore. In questo tempo viene corteggiata da molti maschi e si unisce a loro. Se poi si pensa che la gestazione è molto breve, si capisce come mai i topi si riproducano così velocemente e in numero così cospicuo. Il Rattus norvegicus, che infesta le nostre metropoli, è invece al confronto meno prolifico. Sessualmente maturo dopo otto-dodici settimane, si riproduce tre o cinque volte l’anno con una gravidanza di tre-quattro mesi, e dà alla luce da quattro a dodici piccoli. C’è un altro aspetto che spiega la forza d’impatto dei topi, al di là della lotta che gli uomini conducono contro di loro: una femmina che ha partorito almeno una volta è in grado di riprodursi senza accoppiarsi. Non si è ancora capito bene come sia possibile, ma le femmine del ratto possono ritenere gli spermatozoi o gli zigoti. Si sa per certo che una femmina incinta, se incontra un maschio che le piace di più, è in grado di far regredire i feti concepiti a vantaggio di una nuova gestazione dopo l’accoppiamento con il nuovo partner. Il Mus musculus, meno pericoloso e di minori dimensioni rispetto al norvegicu s, è con noi da almeno 23.000 anni, ben prima che le fogne diventassero l’habitat ideale per i ratti. I topolini, invece, quelli trasformati da Walt Disney in personaggi amati dai bambini, come in Cenerentola, sono arrivati attraverso lo Stretto di Gibilterra quattromila anni fa e hanno colonizzato il nostro continente, scendendo poi verso la Pianura Padana. Sono state le nostre abitazioni a fornire loro il domicilio migliore. Così l’esercito composto da musculus e domesticus abita con noi, cercando di sfuggire allo stretto parente, il Rattus rattus. I topi e i ratti hanno raggiunto una forma pressoché perfetta, dato che da milioni di anni non subiscono grandi trasformazioni e reggono bene le sfide ambientali in corso, candidandosi a nostri successori.
In un celebre romanzo, La ratta, lo scrittore tedesco Günther Grass ha elevato questo animale a testimone terminale della nostra estinzione. La storia dei topi è anche la storia della più terribile malattia di cui essi sono potenziali portatori: la peste. Attraverso una pulce, che li frequenta da tempi lontanissimi, hanno generato la strage nelle nostre città a partire dal 161 d.C. Lo Yersinia pestis, il bacillo scoperto solo nel 1894, ha sterminato gran parte della popolazione europea tra il 1347 e il 1351, e si è manifestato l’ultima volta nel nostro Paese nel 1945, al sud Italia. Ancora oggi i ratti e i topolini si alimentano delle nostre deiezioni, corrono dentro i condotti fognari, s’infilano nei solai e nelle cantine senza che riusciamo a eliminarli una volta per tutte. Anzi, siamo noi gli allevatori dei topi e dei ratti grazie ai rifiuti abbandonati. La lotta contro di loro è estenuante, e non è detto che la vinceremo. Più probabile il contrario.