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 2019  agosto 07 Mercoledì calendario

Intervista a BeBiniyam, un ragazzino etiope di 13 anni perennemente insultato dai coetanei: «Mi chiamano mangiabanane o negro di merda»

Dice che da grande diventerà un famoso cestista, oppure tornerà in Etiopia a occuparsi dei bambini che vivono negli istituti. «Quelli come me, poveri e soli – racconta – prima che arrivassero i miei genitori». Per il resto Biniyam, 13 anni, di Bologna, straordinario lettore e giocatore di basket, media dell’otto a scuola, parla senza parafrasi: «L’ultimo insulto che ho ricevuto? Negro di merda, ti brucerei. Però la cosa peggiore me l’hanno detta tre settimane fa, in campeggio: “Ehi, mangiabanane, brucerei anche tua madre”».
È dura Biniyam. Tu come reagisci?
«Dipende dai casi. I miei genitori mi hanno sempre detto di non rispondere alle provocazioni.
Quando ero piccolo facevo finta di non sentire. Adesso mi difendo.
Soprattutto se sono con i miei amici di sempre, quelli che ho fin dall’infanzia, per loro non conta mica il colore della pelle».
Perché, invece, avere la pelle nera è davvero un problema?
«Non vedi quello che sta succedendo? Alle elementari mi è capitato che qualcuno facesse delle battute, ma da quando sono alle medie è tutto più difficile. Non tanto a scuola, a Bologna, ma l’estate in campeggio».
Il posto in cui ti hanno insultato qualche settimana fa?
«Sì, è il campeggio sul mare dove torniamo ogni estate. Stavo mangiando il gelato e un gruppetto di ragazzi che non conoscevo mi si è avvicinato. Hanno iniziato a dire che da quel bar me ne dovevo andare, perché i negri lì non ci potevano stare. E poi che i negri devono bruciare e anche le loro madri che li hanno messi al mondo».
Una cosa tremenda Biniyam.
«Hanno detto delle cose così brutte che i miei amici si sono alzati e li volevano picchiare. Ma per me è stato un momento terribile. Che ne sanno, questi cretini, quale storia può avere un ragazzo come me che arriva da un altro continente».
Cretini appunto.
«No, qualcosa di peggio. Sono fascisti. Lo dicono loro. Dicono che l’unica razza è quella bianca. Una volta mi è capitato anche negli spogliatoi dopo una partita di basket. Sono entrato e un gruppetto mi ha accolto con un coro razzista. Ma la mia squadra li ha cacciati».
Non c’è quindi solo il razzismo Biniyam.
«Infatti, l’Italia è il paese dove sono nato per la seconda volta, i miei fantastici genitori adottivi sono italiani, sono cresciuto parlando di tutto, anche con i miei nonni. Adoro leggere, soprattutto romanzi. A scuola ho un prof di Matematica che a volte decide di non fare lezione e parlare di attualità. Insomma, sto bene qui. O almeno stavo bene».
Quindi cosa è cambiato?
«Mi sembra che il razzismo che tanti avevano dentro adesso lo stiano buttando fuori. E il bersaglio di tutto siamo noi. Colpevoli di qualcosa soltanto per il colore della pelle. Se chi governa dice sempre che i neri bisogna farli tornare in Africa, anche i ragazzini alla fine pensano che sia gusto insultare chi non è bianco. A me sembra che adesso ci sia più odio e meno amore in Italia».
Certo, per avere tredici anni hai riflettuto un bel po’ sulla vita.
«Lo dice sempre mia madre, dice che li rintrono di parole, quando inizio a parlare non mi ferma nessuno. Infatti a volte mi è successo di vincere con le parole contro chi mi insultava».
In che modo?
«Intanto sono forte perché gioco a basket. E poi i razzisti sono ignoranti».
Cosa stai leggendo adesso?
«Due libri. “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e “La compagnia dei celestini”. Ma vedo anche un sacco di video. La verità è che per uno come me essere bravo a scuola è una garanzia».
In che senso?
«Loro possono chiamarmi “negro di merda”, “mangiabanane”, ma io ho la media dell’otto. Quelli che mi insultano magari sono stati bocciati».
Biniyam, hai paura oggi in Italia?
«Ogni tanto sì. Adesso ho capito che devo stare attento. Mi dispiace, perché, insomma, questo è un paese bellissimo e io sono italiano di origine etiope. Ma in fondo penso che il razzismo non vincerà».