Corriere della Sera, 7 agosto 2019
Lega e M5s, storia di un divorzio annunciato da Steve Bannon
L’ex stratega di Donald Trump, Stephen K. Bannon, era stato il primo a benedire le nozze tra Lega e Cinque Stelle, sin dalla vigilia elezioni del 4 marzo 2018, vedendovi il coronamento del suo sogno di avvicinare nazionalisti di destra e populisti di sinistra. Ora però – in un’intervista che verrà pubblicata in versione integrale venerdì su 7 – suggerisce che potrebbe essere arrivato il momento del divorzio. «Penso che quello tra Salvini e Di Maio sia stato un nobile esperimento. Mi piacerebbe vederlo continuare, sarebbe fantastico, ma capisco perché potrebbe non accadere. Hanno cercato di tenere unite due visioni diverse dell’economia, da una parte il salario minimo e dall’altra la flat tax. E poi credo che Salvini stia dando un messaggio a chi lo ha votato nelle elezioni europee».
Siamo al confine degli Stati Uniti, dove il Messico diventa New Mexico, a Sunland Park, vicino alla città texana di El Paso. Qui, una settimana prima della sparatoria in cui un suprematista bianco ha ucciso 22 persone, soprattutto ispanici, si sono radunati per una conferenza sull’immigrazione centocinquanta attivisti conservatori con i soliti cappelli rossi «Make America Great Again». Si definiscono «le forze speciali» di Trump. E Bannon è il loro generale.
Nella proprietà privata della fabbrica American Eagle Brick Co., il gruppo «We Build the Wall» in cui Bannon figura come presidente del comitato consultivo, ha costruito poco più di un chilometro di Muro al confine con il Messico: un progetto parallelo a quello federale. «Questa è la mia Masada», proclama Bannon, avanzando in scarponi militari, pantaloni cargo e camicia nera – metà soldato e metà evangelista – verso la vetta su cui sventola una bandiera a stelle e strisce.
Tra gli attivisti che masticano polvere, bagel e cream cheese a 40 gradi, sotto il tendone bianco eretto accanto al Muro, c’è chi pensa che Salvini sia già il premier italiano, come la giornalista di un sito cristiano, Mary Moore: «Lo adoriamo, lo chiamiamo Little Trump». Bannon pensa che possa diventare premier, anche se è «una mossa ardita convocare le elezioni in un momento rischioso per la crescita, con i tassi di interesse negativi della Banca centrale europea».
Per il leader leghista comunque Bannon non ha che elogi, mentre lo stesso non vale per Di Maio. «Penso che Di Maio abbia esibito un’incredibile ingenuità andando a Pechino, ha dimostrato che non è ancora pronto per la ribalta. Che ingenuo. Ho visto gli articoli che arrivavano dalla Cina, è tornato con gli occhi spalancati, e loro sono abili nell’insistere su aspetti come questo».
Quanto a Giuseppe Conte, oggi forte di un indice di approvazione del 58% (Salvini è al 54%), l’ex stratega di Trump commenta: «È una falsa equivalenza. Conte ha un ruolo molto più facile: va al G7, al G20, può far crescere la propria popolarità senza dover prendere decisioni difficili, a differenza di Salvini. Se dovesse decidere sugli enormi problemi finanziari dell’Italia o sull’immigrazione, vedremmo per quanto tempo manterrebbe quel tasso di popolarità».
«Non tutti i matrimoni funzionano»: Steve Bannon, in un’intervista sul prossimo numero di «7» parla della difficile «unione» tra Salvini e Di Maio.
Sunland Park (New Mexico) «Non tutti i matrimoni funzionano, ve lo dice uno che si è sposato tre volte».
L’ex stratega di Donald Trump, Stephen K. Bannon, era stato il primo a benedire le nozze tra Lega e Cinque Stelle, sin dalla vigilia elezioni del 4 marzo 2018, vedendovi il coronamento del suo sogno di avvicinare nazionalisti di destra e populisti di sinistra. Ora però – in un’intervista che verrà pubblicata in versione integrale venerdì su 7 – suggerisce che potrebbe essere arrivato il momento del divorzio. «Penso che quello tra Salvini e Di Maio sia stato un nobile esperimento. Mi piacerebbe vederlo continuare, sarebbe fantastico, ma capisco perché potrebbe non accadere. Hanno cercato di tenere unite due visioni diverse dell’economia, da una parte il salario minimo e dall’altra la flat tax. E poi credo che Salvini stia dando un messaggio a chi lo ha votato nelle elezioni europee».
Siamo al confine degli Stati Uniti, dove il Messico diventa New Mexico, a Sunland Park, vicino alla città texana di El Paso. Qui, una settimana prima della sparatoria in cui un suprematista bianco ha ucciso 22 persone, soprattutto ispanici, si sono radunati per una conferenza sull’immigrazione centocinquanta attivisti conservatori con i soliti cappelli rossi «Make America Great Again». Si definiscono «le forze speciali» di Trump. E Bannon è il loro generale.
Nella proprietà privata della fabbrica American Eagle Brick Co., il gruppo «We Build the Wall» in cui Bannon figura come presidente del comitato consultivo, ha costruito poco più di un chilometro di Muro al confine con il Messico: un progetto parallelo a quello federale. «Questa è la mia Masada», proclama Bannon, avanzando in scarponi militari, pantaloni cargo e camicia nera – metà soldato e metà evangelista – verso la vetta su cui sventola una bandiera a stelle e strisce.
Tra gli attivisti che masticano polvere, bagel e cream cheese a 40 gradi, sotto il tendone bianco eretto accanto al Muro, c’è chi pensa che Salvini sia già il premier italiano, come la giornalista di un sito cristiano, Mary Moore: «Lo adoriamo, lo chiamiamo Little Trump». Bannon pensa che possa diventare premier, anche se è «una mossa ardita convocare le elezioni in un momento rischioso per la crescita, con i tassi di interesse negativi della Banca centrale europea».
Per il leader leghista comunque Bannon non ha che elogi, mentre lo stesso non vale per Di Maio. «Penso che Di Maio abbia esibito un’incredibile ingenuità andando a Pechino, ha dimostrato che non è ancora pronto per la ribalta. Che ingenuo. Ho visto gli articoli che arrivavano dalla Cina, è tornato con gli occhi spalancati, e loro sono abili nell’insistere su aspetti come questo».
Quanto a Giuseppe Conte, oggi forte di un indice di approvazione del 58% (Salvini è al 54%), l’ex stratega di Trump commenta: «È una falsa equivalenza. Conte ha un ruolo molto più facile: va al G7, al G20, può far crescere la propria popolarità senza dover prendere decisioni difficili, a differenza di Salvini. Se dovesse decidere sugli enormi problemi finanziari dell’Italia o sull’immigrazione, vedremmo per quanto tempo manterrebbe quel tasso di popolarità».