il Giornale, 6 agosto 2019
Gli ottant’anni di Romano Prodi
Romano Prodi compie 80 anni, sì ma Prodi chi? Per millenials e generazioni digitali successive l’ex (due volte) premier, più ex molte altre cose, appartiene già all’archeologia italiana, tipo statisti dell’età risorgimentale. Però il Professore sta conoscendo un notevole revival sui social a causa dell’euro, argomento di grande interesse soprattutto da parte di chi considera la moneta unica una sciagura. Ebbene il «Mortadella» (soprannome usato dai suoi detrattori) è riuscito nell’impresa di diventare virale con una frase a lui attribuita: «Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più». Una profezia al contrario secondo i nostalgici della lira, visti gli effetti dell’euro sul potere di acquisto degli italiani, che dimostrebbe l’errore madornale compiuto appunto dall’allora presidente del Consiglio italiano nel traghettare l’Italia dentro l’eurozona ad un tasso di cambio sfavorevole.
Il filone complottistico sull’euro in cui Prodi figura come «utile idiota» manipolato dai cattivi tedeschi e francesi, è accompagnato da video d’epoca in cui il Professore magnifica gli effetti futuri della moneta unica per l’Italia («L’occupazione aumenterà, ci sarà una crescita più forte, l’euro è il futuro e il progresso»), sbaglia completamente le previsioni sulla Gran Bretagna («Londra ha capito che non può restare fuori da questa Europa»), commentati con insulti di vario genere. Ma a questo si accompagna un secondo filone prodiano, quello che chiameremmo del «ravvedimento», in cui Prodi confesserebbe – secondo il popolo euroscettico – di aver svenduto scientemente l’Italia agli interessi tedeschi. Così riassume un’intervista di Prodi sui retroscena degli accordi pre-euro con l’allora cancelliere Helmut Kohl, il blogger Byoblu, di area Cinque Stelle: «Prodi sapeva che non poteva funzionare, ma Kohl gli disse che Roma non era stata fatta in un giorno. E così lui andò avanti. Dagli anni ’60 avevamo già svalutato del 600% sul marco tedesco! Lo sapevano tutti, che non avrebbe funzionato. Lui, Amato, Draghi... Ma sognavano, loro: sognavano mentre i tedeschi facevano i conti e si leccavano già i baffi». In effetti Prodi è diventato critico sull’evoluzione dell’eurozona («L’euro funziona solo per la Germania») e ha riconosciuto che gli italiani si sono «a ragione» sentiti defraudati dal passaggio all’euro, ma non per colpa sua: «È stata colpa del governo Berlusconi che non ha fatto nessun controllo sui prezzi e non ha voluto il periodo di doppi prezzi in lire e euro come volevamo noi».
Sarà, ma è difficile togliere a Prodi il marchio del leader che non ha azzeccato le previsioni né portato a casa grandi vantaggi per gli italiani. Chi ha un po’ più di memoria storica ricorda anche il suo ultimo governo, quello con tutte le sfumature della sinistra italiana e il record storico di componenti: 25 ministri, 10 viceministri, 66 sottosegretari per un totale di 102 persone. Al ministero del Tesoro aveva chiamato l’economista Tommaso Padoa-Schioppa, famoso a sua volta per aver detto che pagare le tasse «è bellissimo». Eppure la lunga e prestigiosa carriera politica di Prodi, passato dalla Dc (ministro di Andreotti) all’Iri, dalle sedute spiritiche per trovare il luogo di prigionia di Aldo Moro alla presidenza della Commissione Ue quindi due volte a Palazzo Chigi come premier e poi ancora padre fondatore del Pd, doveva coronarsi nella casella più alta di tutte, al Quirinale. C’è stato un momento nell’aprile 2013 in cui sembrava fatta, ma il Professore non aveva ancora fatto i conti con le correnti più insidiose tra tutte quelle dell’orbe tarracqueo, le correnti del Pd. Che si materializzeranno nei famigerati 101 franchi tiratori impallinando la candidatura di Prodi a capo dello Stato, ufficializzata tra gli applausi poche ore prima da Bersani segretario del Pd, a affossata poco dopo con il clamoroso voltafaccia, mentre il Professore seguiva tutto da Bamako, nel Mali, pronto a imbarcarsi per atterrare in Italia da presidente della Repubblica. Da quella scottatura tremenda, vissuta come un tradimento immeritato, Prodi ha appeso le scarpe della politica al chiodo dichiarando di lasciarla «definitivamente», avverbio necessario perché in verità aveva annunciato di volerla lasciare già nel 2008, dopo essere stato sfiduciato in aula dalla sua stessa maggioranza di centrosinistra.
Da lì in poi ha fatto sporadiche incursioni nella vita del suo ex partito, il Pd, sempre a debita distanza per non prendersi altre fregature. Per un certo periodo ha guardato con simpatia a Renzi – che gli propose anche una candidatura all’Onu – prima di dissociarsi dalla stagione renziana («Renzi era di sinistra? Ah sì?»). Uscito dalla giungla della politica italiana, Prodi è approdato su lidi più sicuri: le Nazioni Unite (inviato speciale per il Sahel), poi l’insegnamento (professore alla China Europe International Business School di in Shanghai). Nel frattempo ha collezionato 39 lauree honoris causa, compresa una dall’Università del Burkina Faso. Frasi celebri su di lui: «Dopo Ciampi, è la persona che meno capisce di politica, ma è uno degli uomini più furbi che io conosca» (Cossiga). «Come vedo Prodi, mi chiede? Con tutto il rispetto, di lui mi viene da dire quello che Flaiano disse di Cardarelli: è il più grande poeta morente...» (Fausto Bertinotti). Nel 2015 – malgrado la smentita di essere interessato – il suo nome è tornato in ballo per il Quirinale, addirittura nella rosa delle «quirinarie» M5s. Tra tre anni, quando ne avrà 83, se ne riparla?