Libero, 6 agosto 2019
Sadako, la bimba che voleva costruire mille gru di carta per sopravvivere a Hiroshima
C’è un silenzio di lacrime trattenute davanti alla Cupola di Hiroshima. Proprio qui, seicento metri sopra il centro espositivo industriale Gembaku Domu, alle otto e un quarto del sei agosto 1945 il bombardiere americano B-29 sgancia Little Boy che, a dispetto del nome tranquillizzante, è la prima bomba atomica della storia. Era un lunedì. Settantaquattro anni dopo comitive di giapponesi, turisti a casa loro, ingoiano singhiozzi e si coprono gli occhi con fazzoletti bianchi perché non si piange in pubblico. Sono tanti e tutti soli. Non ci si parla, non ci si tocca e neanche ci si guarda. Ognuno è naufrago e zattera di se stesso. L’edificio è sventrato e i cumuli di pietre sono ammucchiati sul pavimento che fu inferno e tomba. Della cupola, invece, è rimasto solo lo scheletro. Quest’intreccio di ferri arrugginiti che scompone il cielo in triangoli è diventato il simbolo del Male, la cicatrice della Storia. E tutti siamo qui, immobili, insieme ai fantasmi di quest’orrore, gli uomini e le donne impressi sulle pietre della città, come la bimba che saltava felice sulla corda e l’anziano che avanzava col suo bastone di legno. Dei loro corpi disintegrati restano le ombre sull’asfalto di Hiroshima. Spettri nucleari. Pure il cielo senza nuvole, ma gonfio di pioggia, è grigio. «Mum, look, look», la voce di un bimbo irrompe nel silenzio tetro. «Sssssssssss», lo rimprovera la mamma. Il bambino si zittisce ma rincorre il gruppetto di uomini che, dall’altro lato della strada, lungo il fiume Ota, avanza trasportando mille colori dentro sacchi trasparenti. Giallo, rosso, arancione, azzurro, verde… D’altronde perché un bimbo deve stare qui a respirare la morte se può inseguire l’arcobaleno? L’ABBAGLIO È così che dalle macerie dell’Olocausto nucleare risplende la storia di una bimba che si chiamava Sasaki Sadako. La sua vita è stata breve e lieve come un soffio. Aveva due anni. Era in casa con suo fratello Shigeo e la mamma che faceva l’operaia mentre il suo papà era un soldato in guerra e, quel giorno, non era in città come quasi tutti i militari. Alle otto e un quarto del mattino la piccola si aggira per la casa sui passi ancora incerti. Il cielo si illumina di mille flash. Luce di radiografia. Un abbaglio bollente. Poi il buio totale. Sadako è scaraventata fuori dalla finestra, galleggia in un vento di polvere, pietre e rami di alberi sotto una pioggia nera che piomba sulla città e la veste a lutto. Non si sa per quanto tempo Sadako rimane a terra ma la sua mamma, girovagando nell’apocalisse di cadaveri e feriti dalle facce deformi, il fuoco negli occhi, le fiamme che bruciano in gola, la trova. Vede la sua bimba che piange in silenzio. Sadako è viva. La prende tra le braccia e scappa lontano. Ma Hiroshima è l’inferno e non c’è via di scampo. L’aria è senza ossigeno e attorno c’è solo la disperazione della gente e la distruzione delle cose. Per dieci anni Sadako fu considerata una “hibakusha”, una sopravvissuta. Il termine letteralmente vuol dire “colpito da esplosione” perché i giapponesi scelgono con cura le parole e, chi si è salvato, non viene chiamato sopravvissuto per rispetto delle vittime e per evitare sensi di colpa verso chi avevano accanto e hanno visto morire senza poter far nulla. La città cura la ferita senza cancellarla. Credo c’entri con l’antichissima arte giapponese del kintsugi che celebra le linee di frattura riempiendole d’oro. Quando si rompe un vaso non lo si butta, ma i pezzi si riattaccano con il metallo prezioso per celebrare la loro seconda vita, la capacità di ricominciare quando tutto sembrava finito. Per questo gli abitanti di Hiroshima hanno deciso di non abbattere la Cupola e gli alberi sopravvissuti all’esplosione, gli hibaku jumoku, sono un inno alla vita, considerati veri e propri monumenti. La cicatrice è qui, ancora aperta, come un pugno nello stomaco e un eterno avvertimento. Sadako parlava spesso della bomba, ripeteva di aver sentito le fiamme addosso. Shigeo non le credeva e, come tutti i fratelli maggiori la zittiva dicendole che lei era troppo piccola e non poteva ricordare. La sua famiglia riprende a vivere in una baracca, i genitori vendono tutti i beni al mercato nero fino a quando suo padre apre una bottega di barbiere. Sadako cresce apparentemente sana e forte. Ama correre e sogna di diventare un’atleta. A undici anni partecipa ad una staffetta in bicicletta da Tokyo a Hiroshima. Vince la gara, ma subito dopo si sente male. Pochi esami e poi la diagnosi che i medici avevano sospettato dal primo momento. Leucemia dovuta alle radiazioni. LA LEGGENDA Sadako ha poco tempo per vivere, ma suo fratello le racconta un’antica leggenda giapponese. Se avesse realizzato mille gru di carta con la tecnica dell’origami avrebbe potuto realizzare un sogno. Sadako ci crede, vuole vivere. Così si mette all’opera. Passa il suo tempo in ospedale a trasformare in uccelli colorati qualsiasi foglio. Perfino le scatole delle medicine diventano meravigliose gru che in Giappone sono simbolo di lunga vita. La sua stanza si riempie di origami. Cento, duecento, trecento... Ma quegli uccelli non erano solo per il suo sogno. Sadako voleva che tutti i bimbi malati guarissero e che le armi tacessero per sempre. Quindi non bastavano mille origami, avrebbe voluto farne tantissimi. Durante i lunghi mesi in ospedale la bimba conosce un ragazzino che, come lei, ha poco da vivere e gli chiede di aiutarla a fare tante gru ma lui le risponde: «Io so che morirò stanotte». Così fu. Dopo 14 mesi in ospedale, il 25 ottobre del 1955, pure Sadako muore. Ha dodici anni. Nella sua stanza rimangono 644 gru, meno 356 a mille. I compagni di scuola continuarono la sua opera e così la bimba viene sepolta assieme alle sue gru colorate. Da allora tutti i bambini di Hiroshima hanno cominciato a realizzare gru di carta, in seguito arrivavano origami colorati dall’intero Giappone. Come in un’onda altissima la storia di Sadako ha travolto il mondo intero anche grazie al romanzo di Karl Brückner Il gran sole di Hiroshima e così la città ferita è stata invasa da gru. Grazie a una raccolta fondi tra gli studenti giapponesi, al Parco della Pace di Hiroshima, a pochi passi dalla Cupola della Bomba, è stata costruita la statua di Sadako che tende una gru d’oro verso il cielo. Ai piedi della piccola c’è la frase: Questo è il tuo pianto. La nostra preghiera. Pace nel mondo. Ogni giorno arrivano migliaia di origami con i pensieri dei bambini che parlano di pace e di futuro come voleva Sadako. Anche oggi, su Hiroshima, insieme alle lacrime silenziose dei turisti, dai sacchi trasparenti sono cadute migliaia di gru di carta. Sul dorso di un uccello un bimbo inglese ha riportato i versi di Sadako: «Scriverò pace sulle tue ali / Intorno al mondo volerai /Perché i bambini non muoiano più così».