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 2019  agosto 06 Martedì calendario

In Spagna ci sono più atei che cattolici

Era ora. Per la prima volta, dopo circa 1800 anni, il cattolicesimo è ufficialmente una minoranza in Spagna. Con un certo ritardo il proclama trionfale del capo dei repubblicani castigliani Manuel Azana si è realizzato: «La Spagna ha smesso di essere cattolica» (1931). A quel tempo l’affermazione era un tantino esagerata. I rivoluzionari comunisti e anarchici ci provarono ad avverarla, attraverso il sistematico sterminio di preti e suore, frati e chierichetti. Non riuscirono però a finire il lavoro e a imporre l’ateismo di Stato, dato che la guerra civile vide la vittoria di Francisco Franco, e il cattolicesimo apostolico romano ricevette l’inutile fiocco di religione ufficiale. Ora il governo spagnolo vuole sloggiare le spoglie di Franco dal sacrario, e la Chiesa accetta, tranne resistenze residuali. Non è solo misconoscimento politico di un dittatore, che pure aveva salvato la Chiesa dal massacro, ma è un riflesso dinanzi alla testardaggine della realtà. Riconosce di essere minoranza. La statistica timbrata dai sociologi del Csi (Center for Research in Sociology Spanish) è spietata. Negli ultimi cinque anni, il processo è stato poderoso. E ormai le cifre fanno felice il vecchio ateo Azana, come nota con compiacimento il quotidiano El Diario. La Chiesa spagnola è come sollevata da un primato che non aveva più la freschezza spirituale di sostenere. Negli ultimi anni il suo vertice episcopale ha creduto nell’illusione che bastasse rincorrere il mondo e la sua morale sessuale rilassata, con tanto di ecologismo, per conquistare la gioventù e mantenere dalla sua parte almeno gli anziani. Niente da fare. In passato il moralismo di destra non aveva funzionato, quello di sinistra è pure peggio. Formalmente due spagnoli su tre (il 67%) barrano con la crocetta la voce “cattolico” sull’apposito quadratino, ma solo il 22,7%, meno di un terzo di essi, va a messa non diciamo regolarmente ma almeno qualche volta all’anno e si inginocchia al confessionale. Insomma i cattolici seri sono meno di quanti, in modo altrettanto serio, si rifiutano di mettere piede in chiesa: il 31,3%. In dettaglio: il 7,5% sono gli agnostici; 8,3 % sono gli indifferenti o non credenti; il 13,3% sono gli atei; 2,2 frequentano altri templi. Tra i cosiddetti millennials va pure peggio. I ragazzi dai 16 ai 29 anni che hanno dichiarato essere atei o agnostici o non credenti sono 55% contro il 40% (il 5% sono incerti). STOP ALLE ILLUSIONI Questi sono i dati. Ed è ingiusto e superficiale come fanno tanti dare la colpa a papa Bergoglio. Come ha dimostrato il filosofo inglese Hume secoli fa, non ciò che viene dopo un fatto (post hoc) è causato da quel fatto (propter hoc). Resta il dato inesorabile della necessità di finirla con un’illusione. Ma come reagire? Con la predicazione di “valori” e la loro traduzione politica o attraverso un incontro personale con Gesù? C’è confusione al riguardo. Talvolta si estrapola dai discorsi del papa argentino il primo aspetto, trascurando il secondo, o riducendolo a un sentimentalismo. Il cardinale lombardo Gianfranco Ravasi, uno degli uomini più colti del nostro tempo, ministro della cultura vaticano, dopo aver appreso dal vescovo di Bilbao che solo il 38% di bambini della sua diocesi basca viene battezzato, ha commentato: «Dobbiamo essere consapevoli che siamo una minoranza. Molti ecclesiastici lo rifiutano, quando lo dici ti fermano. Vivono come se ancora fossimo in quei paesi dove la domenica mattina suonavano le campane e la gente accorreva a messa. Prevale l’indifferenza, l’irrilevanza del fenomeno religioso. È il problema del secolarismo... una forma di apatia religiosa». I primi a rendersene conto drammaticamente furono tre personalità che hanno segnato, da postazioni diverse, la storia. Giovanni Paolo II girò l’Europa gridando dai tetti a ciascun popolo di ricordare il proprio battesimo. La sua testimonianza affascinante frenò un fenomeno di apostasia che dopo il 68 pareva irreversibile specie tra i giovani. In quegli stessi anni don Luigi Giussani, constatando i risultati del referendum sull’aborto in Italia, e raccogliendo esperienze in molti Paesi d’Europa, si rese conto di «un effetto Chernobyl» sulle coscienze. Proprio in Spagna però incontrò promettenti fiori nel deserto. In realtà il prete brianzolo già dagli anni 50 denunciava un formalismo religioso incapace di rendere ragione della fede. Ma c’è da disperarsi, diceva: «Si ricomincia da Uno», un po’ come Gesù in Palestina. Il cardinal Joseph Ratzinger intuì anch’egli questa deriva apparentemente irresistibile e sostenne (e sostiene ancora) che la possibilità di impedire il tramonto della civiltà occidentale dipenda da “minoranze creative», piccoli gruppi di cristiani. Finirla con il trionfalismo, offrire un «cristianesimo disarmato» (lo spagnolo Julián Carrón) senza però accontentarsi di cristianesimo minimalista, da valori comuni. Ricordo che nel luglio del 1988 posi questa domanda a don Giussani: «Non genera in lei angoscia vedere che il gregge si riduce, vedere che ormai i cattolici sono minoranza?» LA CHIESA È MISTERO Rispose: «Il dolore è grande, certo. Ma la certezza che la risposta a tutta la vita umana è Cristo dà tranquillità. Cristo, che vive nel presente, permette di instaurare un rapporto con la gente in cui, senza giudicare nessuno, ti coinvolgi nei rapporti con gli uomini, li coinvolgi nella proposta che ti dà la vita. Gli uomini si legano. Nasce un clima diverso in un ambiente sociale. Le preoccupazioni pastorali di recupero e cose simili finiscono per trattare la Chiesa come la propria organizzazione, quando non partito. Ma la Chiesa è mistero. Ed allora perché esaurirsi in programmi e strategie pastorali (politiche, in realtà)? Dobbiamo soltanto preoccuparci di annunciare Cristo, così da radunare gli uomini in nome di Cristo e con essi affrontare la storia. La grande trama di rapporti che ne nasce, il “successo” o il fallimento umani, sono cura del Padre. S’arrangia Dio. E non tocca a noi giudicare se uno risponde o no alla chiamata di Cristo. Noi dobbiamo esaltare la Santa Chiesa». L’altra domanda è: bisogna rinunciare ad affermare le radici cristiane dell’Europa? Il problema è che a rinunciarci è stata l’Europa.