La Stampa, 6 agosto 2019
In ogni cocktail c’è una bugia
«My Mojito in La Bodeguita, my Daiquiri in El Floridita». Hemingway era un fuoriclasse della scrittura ma si intendeva anche di bar, dove ha scritto e ambientato molti dei suoi romanzi. A ogni latitudine la storia dei drink si intreccia da sempre con quella degli uomini, e viceversa. Eppure quello che ci è stato tramandato da libri e leggende non sempre corrisponde alla realtà. «Quando si pensava di sapere tutto sul Margarita arrivava puntuale la smentita e, di regola, non restava che berci su», racconta il giornalista e ricercatore Stefano Nincevich, tra le pagine del libro “Cocktail Safari”, una fucina di aneddoti su oltre 70 drink scritto e dipinto a quattro mani con l’artista e musicista Andy Fluon. Mai come per drink e aperitivi la storia è liquida ed evanescente. Persino sulla primogenitura del Negroni – il secondo cocktail più bevuto al mondo dopo l’Old Fashioned – ci sono tuttora pareri discordanti. Leggenda narra che fosse stato creato un secolo a Firenze dal barista Fosco Scarselli su un’idea del conte Camillo Negroni, che voleva rinforzare il solito aperitivo Americano con una parte di dry gin. Ma proprio nell’anno in cui si celebrano i cent’anni dalla nascita del Negroni, da Novara contestano la paternità fiorentina del drink a base di bitter, gin e vermouth rosso.
Il dibattito sullo Spritz
Per un aperitivo osannato dal “New York Times” a un altro classico elogiato invece dal “Washington Post": lo Spritz, l’aperitivo più venduto in Italia con il 63.8% delle preferenze secondo una ricerca della rivista “Bargiornale”. Sempre il NYT il mese scorso l’aveva invece stroncato: «L’Aperol Spritz non è un buon drink». Apriti cielo. La vera confusione – spiega Stefano Nincevich – starebbe nel contenuto dell’articolo, dove si dice che «per il nome di questa bevanda dobbiamo ringraziare i soldati austriaci» di stanza nel Nord Italia nel XIX secolo: non tollerando le alte gradazioni dei vini locali, avrebbero iniziato a diluirli “spruzzandoli” (dal tedesco “spritzen") di acqua. «La verità è però un’altra – dice ancora Nincevich –. Semmai furono loro, gli austro-ungarici, a diffondere a Venezia le abitudini che erano note in altre regioni vinicole dell’Impero, dove esistevano già numerose varianti di vini “spruzzati”. L’accoppiata di moda tra prosecco e Aperol o Campari è invece recentissima».
I dubbi sul Gin-Tonic
Anche sulla nascita del Gin-Tonic sono circolate innumerevoli fandonie. La verità storica è che sarebbe nato a metà Ottocento per addolcire l’amaro del chinino che in epoca vittoriana veniva somministrato ai membri della Compagnia britannica delle Indie orientali come rimedio contro la malaria. Per trangugiarlo, soldati e mercanti inglesi usavano mescolare la tonica con gin e limone. «La cosa curiosa – osserva Nincevich – è che il più famoso cocktail britannico in realtà di britannico ha ben poco. È infatti costituito da gin, che ha origini nel genever olandese, e da chinino peruviano».
Il drink-simbolo di Cuba
Nessun dubbio invece sulle origini del Cuba Libre, a base di rum e cola. Prima di essere un drink è stato infatti un grido di battaglia: «Mezzo secolo prima della revoluciòn di Castro e Che Guevara – si legge in “Cocktail Safari” – un altro conflitto scosse Cuba. Tra il 1895 e il 1898 l’isola fu messa a ferro e fuoco dalla Guerra d’indipendenza. Per festeggiare la vittoria, favorita dall’intervento dei Rough Riders comandati dal futuro presidente Theodore Roosevelt, i patrioti locali si unirono ai volontari americani in un brindisi speciale. Al grido di «Por Cuba libre!» i due eserciti miscelarono la Coca-Cola, simbolo Usa, al ron bianco cubano». Attenzione, però: se il rum non è cubano, oggi il drink viene detto semplicemente «Rum and Coke», all’americana. Proprio come lo chiamava il comandante Roosevelt.